Testo
(Tribunale di Forlì - 12 - 16 novembre 2002)
IL TRIBUNALE
Premesso in fatto, che con ricorso depositato in data 7 agosto 2001 ex art. 70 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, XY e altro hanno proposto azione popolare per la decadenza dalla carica di sindaco del Comune di Forlì dell'eletto dott. XY per incompatibilità tra la carica di sindaco del Comune di Forlì e la qualità di dipendente dell'azienda U.S.L. di Forlì ai sensi degli articoli 3 e 8, comma 1, n. 2 legge 23 aprile 1981, n. 154, vigente al tempo delle elezioni amministrative del giugno 1999 e per conflitto di interessi in violazione dell'art. 97 della Costituzione;
che l'eletto dott. XY resisteva con controncorso eccependo la riconducibilità del rapporto contestato alla disciplina normativa attuale, abrogativa delle incompatibilità sussistenti al momento delle elezioni, nonchè l'inammissibilità dell'azione popolare per il mancato rispetto del termine perentorio di cui all'art. 82 d.P.R. n. 570/1960 richiamato dall'art. 70, comma 3, d.lgs. n. 267/2000;
che il p.m. concludeva per l'accoglimento del ricorso con conseguente declaratoria di decadenza del dott. XY dalla carica di sindaco di Forlì;
che con ordinanza pronunciata all'udienza del 20 dicembre 2001 questo tribunale rimetteva alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli articoli 63, 66 e 274, lettera l), d.lgs. n. 267/2000 in relazione agli articoli 76, 97 e 3 della Costituzione e disponeva la sospensione del giudizio in corso;
che con ordinanza in data 25 luglio 2002 la Corte costituzionale dichiarava la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale;
che a seguito di comunicazione da parte della cancelleria di questo tribunale dell'ordinanza della Corte costituzionale, i ricorrenti Biserna e Fava depositavano in data 27 settembre 2002 istanza di riassunzione in calce alla quale il Presidente fissava con decreto l'udienza di comparizione e assegnava il termine per la notifica;
che con comparsa depositata il 5 novembre 2002 il dott. XY si costituiva in giudizio eccependo, preliminarmente, l'improcedibilità del ricorso e la conseguente estinzione del processo sulla base del duplice presupposto che il decreto di fissazione dell'udienza era stato notificato in copia non autenticata e non era stata osservata la formalità del tempestivo deposito in cancelleria degli atti notificati ai sensi dell'art. 82, comma 3, d.P.R. n. 570/1960, nonchè insistendo nell'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività e nell'accoglimento delle conclusioni formulate in controricorso.
Osserva
Va preliminarmente disattesa l'eccezione di improcedibilità del ricorso e conseguente estinzione del giudizio sollevata dalla difesa del resistente sul presupposto dell'asserita inesistenza della notifica del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza essendo stato quest'ultimo notificato in copia semplice non autenticata dal cancelliere.
Al riguardo si osserva che, pur accedendo alla tesi della giuridica inesistenza della notifica del decreto in copia non autentica, tale vizio - che peraltro non si comunica alla riassunzione ormai perfezionatasi con il tempestivo deposito del ricorso (in tal senso Cass. n. 37/2001) è comunque rimosso, se pure con effetto ex nunc, dalla costituzione del resistente (in tal senso ex multis Cass. n. 9445/993) che nella specie è avvenuta prima della scadenza del termine utile per la riassunzione del giudizio sospeso.
Nè può ritenersi che il deposito in cancelleria nel termine di dieci giorni di un atto giuridicamente inesistente (quale, appunto, secondo la tesi del resistente, il decreto notificato in copia semplice) abbia comportato la decadenza comminata dall'art. 82, terzo e quinto comma, d.P.R. n. 570/1960, atteso che l'attore in riassunzione non è soggetto al rispetto della formalità del deposito nel termine perentorio di dieci giorni degli atti notificati, prevista per la prima fase del giudizio e non applicabile analogicamente, attesa la tassatività delle cause di decadenza, alla riassunzione del giudizio.
Va inoltre rilevato che l'art. 82 d.P.R. n. 570/1960 espressamente rinvia per la disciplina del giudizio relativo al contenzioso elettorale, ove non diversamente disposto dallo stesso d.P.R., alle norme del codice di procedura civile, con conseguente applicabilità, alla riassunzione del giudizio elettorale sospeso, dell'art. 297 c.p.c. sia pure con la riduzione alla metà dei termini ivi previsti.
Ritenuto quindi validamente ed efficacemente instaurato il contraddittorio, vanno esplicitati i motivi in base ai quali non è condivisibile l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività, eccezione peraltro già tacitamente disattesa nella propria precedente ordinanza in data 20 dicembre 2001 nella quale questo Collegio, pur dopo aver dato atto dell'eccezione sollevata dal resistente, aveva affrontato il merito del ricorso, altrimenti precluso dall'accoglimento dell'eccezione di tardività, sul presupposto implicito dell'infondatezza dell'eccezione stessa.
In proposito va ribadito che, secondo costante giurisprudenza (vedasi tra le altre Cass. n. 4597/1997) l'azione popolare autonoma proponibile direttamente al tribunale civile non è sottoposta ad alcun termine di decadenza a differenza dell'impugnazione della delibera del consiglio comunale da proporsi nel termine di trenta giorni ai sensi dell'art. 82 d.P.R. n. 570/1960.
Il richiamo, contenuto nell'art. 70 d.lgs. n. 267/2000 (che disciplina l'azione popolare), all'applicazione delle norme di procedura e dei termini stabiliti dall'art. 82 d.P.R. n. 570/1960 è riferito ai termini che scandiscono lo svolgimento del giudizio una volta promosso con l'esercizio dell'azione popolare, ma non comporta l'assoggettamento della stessa al termine di decadenza espressamente previsto dal citato art. 82 solo per l'impugnativa delle delibere.
Qualora anche l'azione popolare autonoma dovesse essere esercitata nel termine di trenta giorni dalla delibera di convalida degli eletti (che ai sensi dell'art. 41 d.lgs. n. 267/2000 viene obbligatoriamente adottata ancorchè non provocata da alcun reclamo) sarebbe vanificata l'alternatività tra i due rimedi previsti dall'art. 9-bis d.P.R. n. 570/1960 oggi trasfuso negli articoli 69 e 70 d.lgs. n. 267/2000.
Venendo al merito del ricorso, premesso che la valutazione dell'incompatibilità dell'eletto XY non può aver luogo applicando direttamente l'art. 97 della Costituzione invocato dai ricorrenti in quanto si tratta di norma programmatica e non immediatamente precettiva in relazione alla quale va rapportata la legittimità di una legge regolatrice ma non la legittimità del singolo atto adottato in base a tale legge, va rilevato che le cause di incompatibilità prospettate dai ricorrenti in relazione alla legge n. 154/1981 vigente al tempo delle elezioni amministrative sono state abrogate dal d.lgs. n. 267/2000.
Detto decreto legislativo da un lato disciplina le situazioni di ineleggibilità e di incompatibilità nelle disposizioni degli articoli da 60 a 67 ove non sono richiamate quelle indicate dai ricorrenti, d'altro lato espressamente menziona, all'art. 274, lettera l), tra le norme abrogate la legge 23 aprile 1981, n. 154, facendo salve unicamente le disposizioni ivi previste per i consiglieri regionali.
Ritiene il collegio che nella individuazione della normativa alla stregua della quale valutare la sussistenza dell'incompatibilità prospettata nel ricorso (se la legge n. 154/1981 vigente al tempo dell'elezione alla carica di sindaco del dott. XY, primario ospedaliero, ovvero il sopravvenuto, d.lgs. n. 267/2000) non possono essere ignorati i principi più volte affermati dalla Corte di cassazione, e costituenti ormai «diritto vivente» (vedasi tra le altre, le sentenze n. 3508/1993 e n. 8178/2000) e da ultimo ribaditi con la sentenza 11 luglio-20 ottobre 2001, n. 12862, secondo cui il decorso del decimo giorno successivo alla proposizione del ricorso elettorale «definisce e cristallizza» la fattispecie, escludendo conseguentemente sia la possibilità per l'eletto di rimuovere oltre quel termine la causa di incompatibilità, sia la rilevanza di altre sopravvenute «cause legittimanti» che possono essere costituite anche da una norma sopravvenuta di abrogazione della previgente causa di incompatibilità, quale appunto l'art. 274 d.lgs. n. 267/2000.
Per converso vanno necessariamente considerate rilevanti le situazioni legittimanti intervenute, come nel nostro caso, successivamente all'elezione, ma anteriormente alla domanda giudiziale.
Peraltro l'art. 274, d.lgs. n. 267/2000 che, applicato alla fattispecie, esclude la ricorrenza delle incompatibilità denunciate nel ricorso avendole abrogate, non può andare esente da censure di incostituzionalità in relazione all'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega.
Invero l'art. 31, legge 3 agosto 1999, n. 265, ha conferito al governo la delega per l'adozione, con decreto legislativo, di un testo unico in cui riunire e coordinare le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento degli enti locali ed ha espressamente indicato, tra le leggi alle quali il governo avrebbe dovuto avere riguardo nella redazione del testo unico, la legge 23 aprile 1981, n. 154.
Il potere normativo oggetto della delega, testualmente limitato ad una funzione di unificazione e di coordinamento di norme vigenti, anche se interpretato non come attività di mera compilazione di norme, non può certo estendersi fino all'innovazione sostanziale e all'abrogazione di norme esistenti, trattandosi di operazione istituzionalmente sottoposta alla decisione del Parlamento e comunque estranea alla funzione di sistemazione e comodità applicativa del testo unico; in ogni caso nella fattispecie concreta l'abrogazione dell'art. 8, comma 1 n. 2, legge n. 154/1981 non appare rispondente a nessuna esigenza di coordinamento e di coerenza dell'assetto normativo nella materia de qua, nè può condividersi, per i motivi che si diranno più avanti, la tesi dell'abrogazione tacita della suddetta norma ad opera del d.lgs. n. 502/1992.
Va comunque osservato che l'abrogazione della incompatibilità tra la carica di sindaco e la funzione di dipendente di unità sanitaria locale, anche se ricompresa nel potere normativo delegato al governo, urta contro i principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, nè si giustifica, sotto il profilo del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e della ragionevolezza, per quanto concerne la qualità di primario ospedaliero, rispetto alla previsione di altre cause di incompatibilità legate alle nuove figure dirigenziali sanitarie.
Vanno infatti al riguardo richiamati gli argomenti ripetutamente espressi dalla Corte di cassazione (da ultimo con sentenza 28 dicembre 2000, n. 16205) secondo cui, pur dopo la ristrutturazione delle USL operata dal d.lgs. n. 502/1992, che ha comportato un arretramento dei poteri gestori del comune nei confronti delle ASL operanti nel suo territorio, permangono funzioni di controllo e di indirizzo del comune nei confronti delle nuove aziende e non sono quindi venute meno le ragioni ispiratrici dell'art. 8 legge n. 154/1981, «permanendo nel quadro di disciplina dello stesso d.lgs. n. 502/1992 come anche meglio definito dal successivo d.lgs. n. 229/1999, un ruolo rilevante del sindaco (da solo o nel più ampio contesto della conferenza dei sindaci) nella formazione del programma, nell'indirizzo sanitario e nel controllo contabile della ASL, evidenziante un'immanente possibilità di conflitto di interessi tra sindaco e componente della struttura sanitaria.»
Infatti nel nuovo sistema introdotto da1 d.lgs. n. 502/1992 e nella normativa regionale (vedasi articoli 3/14, 3-bis, 3-ter d.lgs. n. 502/1992, 180 e 181 legge regionale n. 3/1999) sono previsti pregnanti poteri di controllo del sindaco e della Conferenza dei sindaci, oggi Conferenza sanitaria territoriale, sull'operato dell'azienda USL e del direttore generale, il quale a sua volta decide sulle responsabilità del dirigente di struttura complessa, cioè del primario.
Ad escludere la rilevanza della questione di illegittimità costituzionale che si va prospettando non vale la circostanza - eccepita dal resistente - che l'eletto XY ha delegato (peraltro solo con atto in data 30 agosto 2001) le proprie funzioni di componente della Conferenza sanitaria territoriale in quanto la delega non esclude la titolarità della funzione e dei poteri ad essa connessi e quindi, tenuto anche conto del fatto che il delegato è scelto dal delegante, non è idonea a rimuovere l'incompatibilità.
Si rileva da ultimo che l'esame dei lavori preparatori della legge delega n. 265/1999 e del decreto legislativo n. 267/2000 non ha offerto elementi o spunti di valutazione in ordine alle ragioni giustificatrici della abrogazione della causa di incompatibilità del citato art. 8 legge n. 151/1984.
In base alle considerazioni che precedono e data l'inesistenza e comunque l'infondatezza di ogni altra questione pregiudiziale o preliminare, va ritenuta la rilevanza, l'ammissibilità e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 274 lettera l) d.lgs. n. 267/2000 in relazione agli articoli 76, 97 e 3 della Costituzione, nella parte in cui detta norma, abrogando la legge n. 154/1981, non fa salva (almeno quanto alla funzione di primario di divisione nella locale Unità sanitaria) l'incompatibilità prevista nel n. 2 dell'art. 8 legge n. 154/1981.
Corrispondentemente e per gli stessi motivi va sollevata eccezione di illegittimità costituzionale degli articoli 63 e 66 del decreto legislativo n. 267/2000 nella parte in cui gli stessi non prevedono l'incompatibilità della carica di sindaco con la funzione di primario di divisione nella locale Unità sanitaria.
Va quindi disposta la sospensione del giudizio in corso con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questioni pregiudiziali di costituzionalità sopra prospettate, mandando alla cancelleria per gli adempimenti di competenza ex art. 23 legge n. 87/1953.