Fatto e diritto

(TAR regionale dell'Umbria - 952 - 26 settembre 2001)

1. - Il ricorrente, medico specialista in medicina nucleare, ha chiesto di essere ammesso al concorso per la specializzazione in radiodiagnostica indetto dall'Università degli studi di Perugia con bando del 12 dicembre 2000.

L'istanza è stata rigettata in esecuzione di quanto previsto dal bando di concorso, in attuazione dell'art. 34, comma 4, del d.lgs. 17 agosto 1999 n. 368, a norma del quale non è ammesso ai corsi di formazione specialistica chi è già in possesso di un diploma di specializzazione.

2. - L'interessato impugna il bando, limitatamente alla clausola lesiva, nonchè il conseguente provvedimento di esclusione, chiedendo altresì la disapplicazione del d.lgs. n. 368/1999 per violazione della normativa comunitaria.

Nel ricorso si formulano le censure di seguito riassunte.

2.1. - Violazione di legge (d.lgs. 8 agosto 1991 n. 257, legge 29 dicembre 1990 n. 428, d.P.R. 10 marzo 1982 n. 182, art. 36, comma 2, d.lgs. n. 368/1999): l'articolo 34, quarto comma d.lgs. 17 agosto 1999 n. 368, sul quale si fondano gli atti impugnati, non avrebbe potuto trovare applicazione non essendo stato emanato il decreto ministeriale di attuazione previsto dall'art. 36, comma 1, del medesimo decreto legislativo.

2.2. - Violazione della direttiva comunitaria 93/16 in materia di specializzazione per laureati in medicina e chirurgia: lo stesso decreto legislativo avrebbe mal recepito la direttiva in epigrafe giacchè questa non vieta ai medici già specialisti di acquisire ulteriori specializzazioni.

2.3. - Violazione di legge sotto altro profilo (d.lgs. n. 257/1991: il ricorrente si è specializzato nel 1998 in vigenza del d.lgs n. 257/1991 che non recava alcun divieto di cumulo delle specializzazioni e che dovrebbe continuare ad essere applicata al ricorrente.

2.4. - L'avversato divieto di doppia specializzazione contrasterebbe con la possibilità di incrementare i posti a concorso del 10% a favore dei medici di ruolo dipendenti dal servizio sanitario nazionale, prevista dal bando (pag. 2, 4o cpv., lettera b) in applicazione dell'art. 35, comma 4, d.lgs. n. 368/1999.

3. - Il ricorrente, ha prospettato altresì l'incostituzionalità del ripetuto art. 34, comma 4, d.lgs. 368/1999, per violazione degli artt. 33 e 34, della Costituzione, nonchè, ha chiesto la disapplicazione del precetto contestato, (d.lgs n. 368/1999) ritenendolo contrastante con la normativa comunitaria che si proponeva invece di recepire.

L'Amministrazione si è costituita controdeducendo articolatamente ed eccependo il difetto di giurisdizione dei giudice amministrativo giacchè la controversia atterrebbe, in realtà, alla stipula di un contratto di formazione-lavoro in relazione al quale la giurisdizione è specificamente attribuita al giudice ordinario proprio dall'art. 37 d.lgs. n. 368/1999.

4. - Con ordinanza 21 marzo 2001 n. 43 questo tribunale ha accolto l'istanza cautelare avanzata con il ricorso.

La causa è stata trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del giorno 26 settembre 2001.

All'esito di detta udienza, il collegio ha ritenuto di poter emettere una sentenza parzialmente decisoria, affermando la propria giuridizione, rigettando tutti motivi del ricorso e riservandosi, infine, di dispone per il prosieguo del giudizio con separata ordinanza.

Con la presente ordinanza, pertanto, il collegio scioglie la suddetta riserva.

5. - Viene in esame la questione di costituzionalità, sotto profili in parte dedotti dal ricorrente e in parte ravvisabili d'ufficio, concernente l'art. 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, a norma del quale l'accesso ai corsi di formazione specialistica nelle discipline medico-chirurgiche è inibito a chi sia già in possesso di un titolo di specializzazione ovvero del diploma di formazione in medicina generale.

La questione di costituzionalità appare rilevante ed ineludibile, dal momento che questo Collegio, con la sentenza parziale decisa in pari data, ha ritenuto che i provvedimenti impugnati costituiscano puntuale e corretta l'applicazione della norma, la quale del resto non lasciava all'autorità amministrativa margini di discrezionalità. D'altra parte, l'esclusione del ricorrente dal concorso non ha altra motivazione e giustificazione che il divieto stabilito dalla norma in questione, sicchè, ove quest'ultima venisse giudicata incostituzionale, la riammissione del ricorrente al concorso sarebbe la logica e necessaria conseguenza. La questione di costituzionalità, inoltre, pare al collegio non manifestamente infondata, per le ragioni che si illustreranno appresso.

6. - Va chiarito, innanzi tutto, che non viene in contestazione, di per sè, il sistema degli accessi «a numero chiuso» e per concorso.

Si discute, invece, della disposizione (art. 34, comma 4) che esclude tassativamente dall'accesso alla formazione specialistica chi sia già in possesso di un titolo di specializzazione o del diploma di formazione in medicina generale.

7. - Prima di esaminare i profili più propriamente giuridici della questione, sembra opportuno mettere meglio in luce gli effetti lesivi che la norma in contestazione produce sulle libertà individuali e sugli interessi legittimi dei destinatari.

Si tratta di un divieto a priori, e non, ad es., di un criterio di precedenza nei concorsi. Esso opera anche se, per avventura, il soggetto già specializzato sia l'unico candidato o l'unico idoneo.

L'effetto pratico di questa disposizione non è solo quello di inibire, a chi ne è destinatario, l'acquisizione di nuove conoscenze scientifiche e del relativo nuovo titolo accademico, ma è anche quello (assai più rilevante dal punto di vista dell'individuo) di escludere, di fatto se non di diritto, la libertà di mutare il campo dell'esercizio professionale. Sembrano infatti poche o nulle, per un medico pur laureato ed abilitato (ed eventualmente già in possesso di una specializzazione) le possibilità d'inserirsi (come dipendente o come libero professionista) in un settore professionale per il quale non sia specializzato. Sicchè, inibire l'accesso ad un corso di specializzazione equivale a precludere, almeno di fatto, lo svolgimento della corrispondente attività professionale. Anzi, lo specializzato che non possa o non voglia (per una qualsiasi ragione più o meno seria ed apprezzabile) intraprendere o proseguire l'attività professionale nel settore corrispondente, non può neppure proporsi come medico «di base» nel servizio sanitario nazionale, dal momento che tale attività è riservata a chi è in possesso dell'apposito diploma di formazione, equiparabile, per il profilo ora considerato (divieto di cumulo) ad una specializzazione. Così come, del resto, il medico che ha iniziato la sua attività come medico «di base» trova un ostacolo legale ad ogni possibile sviluppo di carriera mediante una specializzazione.

In sostanza, dunque, l'effetto pratico dell'art. 34, comma 4, è quello di rendere irrevocabile, a vita, la prima scelta professionale fatta dal giovane medico.

Ma, a parte l'evenienza del mutamento (per necessità o per scelta) del ramo di esercizio professionale, è anche concepibile che il medico già specializzato in una disciplina ravvisi l'opportunità di acquisire una seconda specializzazione non per abbandonare la prima bensì per integrarla e arricchirla.

Tutte queste esigenze, che pur si direbbero non immeritevoli di tutela, sono tassativamente sacrificate dalla norma in questione.

8. - Così descritti gli effetti lesivi della norma, restano da prendere in esame i profili più propriamente giuridici della questione di costituzionalità.

Essi emergono sia dal punto di vista della forma, che da quello del contenuto.

8.1. - Dal punto di vista della forma, si osserva che la disposizione in parola e stata emanata con decreto legislativo delegato.

La delega è contenuta nella legge 24 aprile 1998, n. 128, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea; il legislatore delegante ha precisato l'oggetto della delega ed i relativi criteri mediante il riferimento alla direttiva 93/16 e successive modificazioni.

La direttiva in questione, però, nulla dice riguardo al problema dell'eventuale cumulo di specializzazioni. D'altra parte neppure la legge delega n. 128/1998 tocca questo argomento.

Non si può dire nemmeno che si tratti della semplice esplicitazione di un principio comunque insito nel sistema delle direttive comunitarie, o che si tratti di una norma «tecnica» di dettaglio necessaria per assicurare l'integrità e la funzionalità dell'ordinamento.

Si deve dunque concludere che l'art. 34, comma 4, è frutto di una scelta pienamente autonoma del legislatore delegato.

Appare così prospettabile una violazione dell'art. 76 della Costituzione (c.d. eccesso di delega).

Se è vero che nel silenzio delle direttive comunitarie il legislatore nazionale aveva, di principio, la facoltà di dettare autonomamente ulteriori e più restrittivi criteri per l'ammissione alle scuole di specializzazione, è anche vero che tale potere spettava, se mai, al legislatore ordinario, e non poteva essere esercitato dal legislatore delegato, in mancanza di una espressa delega in tal senso. Tanto più che, come già accennato, non si tratta di una a disposizione tecnico-organizzativa (suscettibile, come tale di essere emanata anche con norme regolamentari o con meri atti amministrativi generali), bensì di una regola che incide pesantemente sulle libertà individuali, e che perciò doveva essere adottata esclusivamente dal legislatore ordinario (sia pure, eventualmente, mediante una delega che però avrebbe dovuto essere esplicita).

8.2. - Dal punto di vista del contenuto, si sono già ampiamente illustrati gli effetti lesivi che la norma produce, in concreto, sulle libertà individuali e sugli interessi legittimi dei destinatari.

In particolare, la disposizione incide sul diritto allo studio, inteso qui come diritto ad accedere, secondo le proprie libere scelte, ad un determinato corso di studi, e sul diritto al lavoro, inteso qui come diritto à svolgere, di nuovo secondo le proprie libere scelte, una determinata attività professionale. Le norme costituzionali di riferimento sono rispettivamente l'art. 34 e l'art. 35.

Viene inoltre in rilievo il principio di uguaglianza (art. 3, Cost.) in quanto la norma introduce una discriminazione fra i laureati in medicina, a svantaggio di chi, fra loro, possiede un diploma di specializzazione.

8.3. - Beninteso, nè il principio di uguaglianza, nè il diritto allo studio, nè il diritto al lavoro sono garantiti in modo assoluto ed incondizionato. Ciascuno di questi valori si realizza entro i limiti stabiliti dall'ordinamento giuridico. Ciò è stato riaffermato, fra l'altro, dalla sentenza costituzionale n. 383/1998 concernente la limitazione degli accessi a determinate facoltà universitarie e scuole di specializzazione («numero chiuso»).

Le limitazioni, però, debbono essere «ragionevoli».

Viene dunque in gioco il principio della «ragionevolezza», da intendere anche come coerenza dell'ordinamento.

Ora, mentre appare ragionevole, nella materia qui considerata (limitazione degli accessi a corsi di laurea e di specializzazione) una selezione basata sull'idoneità e sui merito, non si può dire altrettanto della disposizione in esame, che discrimina i candidati esclusivamente a motivo del possesso di una diversa specializzazione: titolo che, paradossalmente, dovrebbe semmai essere valutato come merito e non come demerito.

Non si può dire che la norma trovi una sua ratio nella finalità di prevenire fenomeni di «accaparramento» delle specializzazioni. Sembra avere una buona efficacia dissuasiva, in tal senso, l'ordinamento dei corsi, che prevede, com'è noto, un impegno a tempo pieno, per la durata di diversi anni, con un trattamento economico sicuramente deteriore rispetto a quello di cui godrebbe il medico già specializzato, se mettesse a frutto la propria specializzazione. In questo contesto, è verosimile che solo una ristretta minoranza di specializzati, motivati da serie ragioni personali, scelga di concorrere per una seconda specializzazione.

Si potrebbe forse sostenere che la norma in questione risponde allo scopo di prevenire lo spreco di risorse pubbliche, che si determinerebbe ogni volta che taluno, dopo aver acquisito (sostanzialmente a spese della collettivita) un titolo di specializzazione, lo lasci inutilizzato per dedicarsi ad un nuovo e diverso corso di specializzazione. L'argomento può sembrare suggestivo, ma allora, per coerenza, si dovrebbe obbligare chiunque abbia conseguito, mediante il sistema pubblico d'istruzione, un titolo di studio (non solo in medicina) a metterlo a frutto esercitando la relativa attività professionale: il che è manifestamente impossibile sul piano pratico e su quello giuridico.

9. - Conclusivamente, il giudizio va sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio incidentale di costituzionalità.

Il collegio si riserva, all'esito, ogni ulteriore decisione in rito, in merito e sulle spese.