Fatto e diritto

(Ricorso 10 novembre 2016)

Ricorso proposto dalla Regione Veneto (codice fiscale n. 80007580279 - partita I.V.A. n. 02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale dott. Luca Zaia (codice fiscale ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 1723 del 2 novembre 2016 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (codice fiscale ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca Antonini (codice fiscale NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi Manzi (codice fiscale MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org).

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12.

Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria» (nella Gazzetta Ufficiale del 3 settembre 2016, n. 206):

art. 1, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8;

art. 2, commi 1, 2, 5, 6, 7;

art. 6;

art. 9, commi 1 e 2.

Motivi

1) Premessa e motivi comuni alle disposizioni impugnate.

Le norme impugnate, strutturando un meccanismo di selezione nazionale per l'accesso alla dirigenza sanitaria regionale, abrogano espressamente l'art. 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 (così come modificato dal decreto legislativo n. 229/1999 e quindi dal decreto legge 13 settembre 2012, n. 158) nei commi: 1, da 3 a 7, 13 e 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992; altre disposizioni dello stesso articolo, invece, sono abrogate solo in quanto incompatibili.

Queste disposizioni, benchè (almeno in gran parte) anteriori alla riforma del Titolo V della Costituzione, riconoscevano, tuttavia, una ben più ampia autonomia regionale.

Secondo l'art. 3-bis, infatti, veniva previsto: i) un elenco regionale di idonei; ii) una selezione effettuata, secondo modalità e criteri individuati dalla Regione, da parte di una commissione costituita dalla regione medesima; iii) che le Regioni organizzassero e attivassero corsi obbligatori «di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria»; iv) che le Regioni concordassero «in sede di Conferenza delle regioni e delle province autonome, criteri e sistemi per valutare e verificare tale attività»; v) che le stesse Regioni disciplinassero «le cause di risoluzione del rapporto con il direttore amministrativo e il direttore sanitario».

Questo impianto normativo viene cancellato e sostituito da un sistema di selezione sostanzialmente nazionale.

Eppure la materia relativa all'accesso alla dirigenza sanitaria non attiene, come ha avuto modo di chiarire, con estrema chiarezza codesta ecc.ma Corte costituzionale - sentenza n. 181 del 2006 - alla materia ordinamento civile («deve escludersi «che ogni disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l'opera dei sanitari, (...), rientri per ciò stesso nell'area dell'ordinamento civile», riservata al legislatore statale» (così la sentenza n. 282 del 2002)»), rientrando invece nella materia dell'organizzazione amministrativa rimessa alla competenza residuale regionale, o semmai, in base a un criterio di prevalenza, nella materia concorrente della tutela della salute.

Le norme impugnate, invece, hanno disciplinato l'intera materia dell'accesso alla dirigenza sanitaria attribuendone le relative funzioni amministrative al livello centrale e al tempo stesso regolandone puntualmente l'esercizio senza che sia intervenuta alcuna intesa con le Regioni.

Alle Regioni, infatti, è stato richiesto un mero parere, quindi in pieno ed evidente contrasto della consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale sui canoni necessari per un uso legittimo dello «strumento della chiamata in sussidiarietà, cui lo Stato può ricorrere al fine di allocare e disciplinare una funzione amministrativa (sentenza n. 303 del 2003) pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale».

Infatti, secondo tali criteri: «perchè nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, è necessario che essa innanzi tutto rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni.

E' necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Quindi, (...) la legislazione statale di questo tipo può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 6 del 2004 punto 7 del Considerato in diritto)».

Così, con estrema chiarezza, si esprime la sentenza n. 278 del 2010, precisando, fra l'altro, che nel vigente «titolo V della Parte seconda della Costituzione non sussiste più «l'equazione elementare interesse nazionale = competenza statale» e che quindi di per sè «l'interesse nazionale non costituisce più un limite, nè di legittimità nè di merito, alla competenza legislativa regionale» (sentenza n. 303 del 2003, punto 2.2 del Considerato in diritto)».

Nel caso di specie nessuna intesa è stata prevista. E' stato previsto, invece, solo un semplice parere, in violazione quindi di quanto anche più recentemente ribadito nella sentenza n. 21 del 2016: «deve, pertanto, trovare applicazione il principio generale, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 1 del 2016), per cui, in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze, qualora non risulti possibile comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante un criterio di prevalenza, non è costituzionalmente illegittimo l'intervento del legislatore statale, «purchè agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di sè i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008) e che può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell'intesa» (sentenza n. 1 del 2016)».

Va peraltro precisato che la legge delega n. 124 del 2015 ha previsto una intesa solo ed unicamente per l'istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali, la cui istituzione, nella sistematica della delega era contenuta all'interno della disciplina dettata «con riferimento all'inquadramento» (art. 11, comma 1, lettera b, della legge n. 124 del 2015), mentre le norme impugnate sono state emanate in attuazione dell'art. 11, comma 1, lettera p) della legge n. 124 del 2015, cioè con riferimento all'accesso, ovvero - per utilizzare le stesse parole della legge delega - «al conferimento degli incarichi». Ne è peraltro evidente riprova che nel preambolo del decreto legislativo n. 171 del 2016 non si faccia alcun riferimento a quella intesa, bensì venga solo richiamato il parere espresso dalla Conferenza unificata nella seduta del 3 marzo 2016.

Peraltro, occorre anche ricordare che la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è stata riconosciuta da questa ecc.ma Corte nel novero della competenza residuale regionale in materia di organizzazione amministrativa delle Regioni (sentenze n. 235 del 2010, n. 100 del 2010, n. 95 del 2008). Al punto che la sentenza n. 380 del 2004 ha dichiarato illegittime norme statali relative alla valutazione dei titoli dei medici nella parte in cui si applicavano ai concorsi banditi dalle Regioni o dagli enti regionali.

Ma non solo.

E' altrettanto evidente che la nuova disciplina non lascia alle Regioni alcuno spazio normativo adeguato per poter sviluppare una normativa di dettaglio in conformità al carattere concorrente della materia «tutela della salute».

E' significativo quindi ricordare come, sempre in materia di tutela della salute, la sentenza n. 371 del 2008 di codesta ecc.ma Corte, pur in relazione a una normativa di ben minore rilevanza rispetto a quelle qui impugnate, abbia precisato: «Merita, viceversa, parziale accoglimento la censura che investe la prima parte del comma 4, giacchè - nell'ambito di una disposizione che pur riconosce un'ampia facoltà a Regioni e Province autonome nella scelta degli strumenti più idonei ad assicurare il reperimento dei locali occorrenti per lo svolgimento della attività intra moenia - si prevede un parere «vincolante» (da esprimersi da parte del Collegio di direzione di cui all'art. 17 del decreto legislativo n. 502 del 1992, o, in mancanza, della commissione paritetica dei sanitari che esercitano l'attività libero professionale intramuraria) ai fini dell'acquisto, della locazione o della stipula delle convenzioni finalizzate al reperimento di quegli spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, da adibire anche allo svolgimento dell'attività libero-professionale intramuraria.

In tal modo è stata posta una prescrizione che, lungi dall'essere espressiva di un principio fondamentale, regola in modo dettagliato ed autoapplicativo l'attività di reperimento dei locali in questione. Così disponendo, però, la norma statale opera una eccessiva compressione della facoltà di scelta spettante alle Regioni e alle Province autonome. Essa è, quindi, lesiva della loro potestà di disciplinare aspetti relativi alle modalità di organizzazione dell'esercizio della libera professione intra moenia da parte dei sanitari che abbiano optato per il tempo pieno. Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, limitatamente alla parola "vincolante".»

Ma vi è di più.

Quello della sanità, infatti, costituisce uno dei pochi settori pubblici in cui l'Italia si trova ai primi posti nelle classifiche internazionali: secondo i dati OCSE infatti il sistema sanitario italiano si colloca al secondo posto per livello di qualità e all'undicesimo per livello di spesa (all. 2 e 3).

Tuttavia, nella sanità italiana si trova il meglio e il peggio dei Paesi industrializzati. L'inefficienza in passato, ma anche in tempi recenti, continua a concentrarsi in alcune Regioni, dove la situazione è, da un lato, figlia del passato perchè le risorse per garantire i servizi vengono drenate per coprire il pregresso; dall'altro, è generata dall'oggi essendo spesso disatteso il vero problema: una seria capacità di programmazione e gestione dell'organizzazione della sanità.

Il dato di media rilevato dall'OCSE (che è riferito complessivamente all'Italia) è quindi possibile grazie alle straordinarie performances che ottengono Regioni come il Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche.

La sintesi è questa: ci sono poche Regioni che funzionano eccezionalmente bene e molte eccezionalmente male, dove continuano a sussistere gravi problemi sulla rilevazione dei costi, sulla qualità dei dati contabili e sul sistema di controlli interni.

E' quindi del tutto assente una adeguata esigenza unitaria che imponga la centralizzazione dell'accesso alla dirigenza sanitaria in quelle Regioni che hanno raggiunto risultati di assoluta eccellenza, rilevati con indubbia chiarezza da organismi sia nazionali (in termini di garanzia dei Lea e di raggiungimento dell'equilibrio di bilancio) che internazionali (in termini di valutazione comparativa con altri sistemi sanitari).

Vengono chiaramente violati in questo caso i canoni di adeguatezza e «di proporzionalità richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di riconoscere la legittimità dì previsioni legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni» (così sentenza n. 215 del 2010).

Inoltre, i modelli di organizzazione sanitaria di queste Regioni sono diversissimi tra di loro: il modello lombardo è l'antitesi di quello toscano, quello veneto è molto diverso da quello emiliano e così via. E questo è proprio il punto di forza di tali modelli, costruiti nel tempo su specificità amministrative e giuridiche regionali. Un sistema indistinto di selezione a livello nazionale è destinato certamente a compromettere la possibilità di selezionare adeguatamente figure capaci di gestire tali modelli.

In conclusione: la creazione di un sistema nazionale di selezione della dirigenza sanitaria, se potrebbe risultare (in ogni caso nel rispetto delle procedure concertative richieste) proporzionato, ragionevole e votato al conseguimento del buon andamento in alcune Regioni che non conseguono (in alcuni casi addirittura sistematicamente) risultati di eccellenza, appare del tutto ingiustificato rispetto a quelle realtà dove in alcun modo è configurabile l'esigenza di un intervento uniformatore dello Stato.

In questi ambiti (tra i quali oggettivamente rientra anche la regione Veneto, assunta dallo stesso governo nazionale a benchmark per la determinazione dei costi standard) la creazione di un sistema nazionale di selezione, con una conseguente ingiustificata retrocessione della autonomia, può con tutta probabilità condurre al risultato opposto a quello che il legislatore nazionale sembra voler perseguire.

2) Illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonchè del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

L'art. 1 del decreto legislativo n. 171 del 2016 introduce diverse disposizioni che concretizzano un deciso vulnus alla posizione costituzionalmente garantita alle Regioni, sia con riferimento alla relativa autonomia legislativa e amministrativa, sia con riguardo ai fattori organizzativi che hanno consentito alla regione Veneto di raggiungere un riconosciuto livello di eccellenza in materia sanitaria a livello globale.

Nello specifico, l'articolo dispone quanto segue:

comma 1: «I provvedimenti di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale sono adottati nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo»;

comma 2: «E' istituito, presso il Ministero della salute, l'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, aggiornato con cadenza biennale. Fermo restando l'aggiornamento biennale, l'iscrizione nell'elenco è valida per quattro anni, salvo quanto previsto dall'art. 2, comma 7. L'elenco nazionale è alimentato con procedure informatizzate ed è pubblicato sul sito internet del Ministero della salute»;

comma 3: «Ai fini della formazione dell'elenco di cui al comma 2, con decreto del Ministro della salute è nominata ogni due anni, senza nuovi o maggiori oneri per la .finanza pubblica, una commissione composta da cinque membri, di cui uno designato dal Ministro della salute con funzioni di presidente scelto tra magistrati ordinari amministrativi, contabili e avvocati dello Stato, e quattro esperti di comprovata competenza ed esperienza, in particolare in materia di organizzazione sanitaria o di gestione aziendale, di cui uno designato dal Ministro della salute, uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e due designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I componenti della commissione possono essere nominati una sola volta e restano in carica per il tempo necessario alla formazione dell'elenco e all'espletamento delle attività connesse e consequenziali. In fase di prima applicazione, la commissione è nominata entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto»;

comma 4: «La commissione di cui al comma 3 procede alla formazione dell'elenco nazionale di cui al comma 2, entro centoventi giorni dalla data di insediamento, previa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sul sito internet del Ministero della salute di un avviso pubblico di selezione per titoli. Alla selezione sono ammessi i candidati che non abbiano compiuto sessantacinque anni di età in possesso di: a) diploma di laurea di cui all'ordinamento previgente al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 2000, n. 2, ovvero laurea specialistica o magistrale; b) comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e o finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato; c) attestato rilasciato all'esito del corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria. I predetti corsi sono organizzati e attivati dalle regioni, anche in ambito interregionale, avvalendosi anche dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e in collaborazione con le università o altri soggetti pubblici o privati accreditati ai sensi dell'art. 16-ter, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, operanti nel campo della formazione manageriale, con periodicità almeno biennale. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti i contenuti, la metodologia delle attività didattiche tali da assicurare un più elevato livello della formazione, la durata dei corsi e il termine per l'attivazione degli stessi, nonchè le modalità di conseguimento della certificazione. Sono, fatti salvi gli attestati di formazione conseguiti alla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi delle disposizioni previgenti e, in particolare dell'art. 3-bis, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, nonchè gli attestati in corso di conseguimento ai sensi di quanto previsto dal medesimo art. 3-bis, comma 4, anche se conseguiti in data posteriore all'entrata in vigore del presente decreto, purchè i corsi siano iniziati in data antecedente alla data di stipula dell'accordo di cui al presente comma»;

comma 5: «I requisiti indicati nel comma 4 devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito per la presentazione della domanda di ammissione. Alle domande dovranno essere allegati il curriculum formativo e professionale e l'elenco dei titoli valutabili ai sensi del comma 6. La partecipazione alla procedura di selezione è subordinata al versamento ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato di un contributo pari ad euro 30, non rimborsabile. I relativi introiti sono riassegnati ad apposito capitolo di spesa dello stato di previsione del Ministero della salute per essere destinati alle spese necessarie per assicurare il supporto allo svolgimento delle procedure selettive e per la gestione dell'elenco di idonei cui al presente articolo»;

comma 6: «La commissione procede alla valutazione dei titoli formativi e professionali e della comprovata esperienza dirigenziale assegnando un punteggio secondo parametri definiti con decreto del Ministro della salute, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e criteri specifici predefiniti nell'avviso pubblico di cui al comma 4, considerando in modo paritario: a) relativamente alla comprovata esperienza dirigenziale, la tipologia e dimensione delle strutture nelle quali è stata maturata, anche in termini di risorse umane e finanziarie gestite, la posizione di coordinamento e responsabilità di strutture con incarichi di durata non inferiore a un anno, nonchè eventuali provvedimenti di decadenza, o provvedimenti assimilabili; b) relativamente ai titoli formativi e professionali, l'attività di docenza svolta in corsi universitari e post universitari presso istituzioni pubbliche e private dì riconosciuta rilevanza, delle pubblicazioni e delle produzioni scientifiche degli ultimi cinque anni, il possesso di diplomi di specializzazione, dottorati di ricerca, master, abilitazioni professionali»;

comma 7: «Il punteggio massimo complessivamente attribuibile dalla commissione a ciascun candidato è di 100 punti e possono essere inseriti nell'elenco nazionale i candidati che abbiano conseguito un punteggio minimo non inferiore a 75 punti. Il punteggio è assegnato ai fini dell'inserimento del candidato nell'elenco nazionale»;

comma 8: «Non possono essere reinseriti nell'elenco nazionale coloro che siano stati dichiarati decaduti dal precedente incarico di direttore generale per violazione degli obblighi di trasparenza di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97».

In questi termini, alle Regioni - con una disciplina di dettaglio che illegittimamente riformula, come chiarito nella Premessa comune di cui al p.to 1 che viene qui interamente richiamata, l'accesso alla dirigenza regionale - viene interamente sottratta l'attività (precedentemente riconosciuta dall'art. 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992) relativa alla formazione dell'elenco degli idonei, che viene sostituito da un elenco nazionale, formato da una commissione nazionale, a seguito di una valutazione nazionale i) dei titoli formativi e professionali e ii) della comprovata esperienza dirigenziale. Inoltre, a un decreto del Ministro della salute, adottato senza alcuna partecipazione delle Regioni, viene demandata la fissazione dei parametri del punteggio.

Nessuno spazio normativo rimane più riconosciuto alle Regioni, che vengono completamente espropriate delle loro competenze legislative e amministrative di cui agli articoli 117, III e IV comma e 118 della Costituzione.

L'unico spazio riconosciuto alle Regioni riguarda l'organizzazione del corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria: si tratta evidentemente di uno spazio irrisorio e che non vale in alcun modo a superare le censure di costituzionalità prospettate.

Come affermato nella Premessa comune di cui al p.to 1, considerando che la regione Veneto consegue, nell'ambito della tutela salute, risultati di eccellenza e rispetta pienamente gli obiettivi di bilancio, al punto che è stata assunta dallo stesso Governo nazionale a benchmark per la determinazione dei costi standard nella sanità, le disposizioni impugnate non traducono alcuna valida esigenza unitaria, rischiano anzi di compromettere la garanzia dei diritti sociali in materia di tutela della salute garantiti nella Regione Veneto e non rispettano il principio di proporzionalità, ponendosi in violazione degli articoli 3, 32, 97 della Costituzione.

La ridondanza delle predette violazioni sulla competenza regionale in materia di tutela della salute deriva chiaramente dal fatto che la Regione viene espropriata delle proprie competenze in relazione alla disciplina dell'accesso alla figura della dirigenza sanitaria.

Infine, viene violato anche l'art. 119 della Costituzione dal momento che l'ingerenza statale nella procedura relativa all'accesso alla dirigenza non considera che è sulla Regione che ricade la responsabilità del corretto governo, anche finanziario, dei sistemi sanitari regionali.

Viene altresì violato il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, dal momento che, come precisato nella richiamata Premessa comune di cui al punto 1, non è stata prevista alcuna intesa.

3) Illegittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 5, 6, 7 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonchè del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

Anche l'art. 2 del decreto legislativo n. 171 del 2016 introduce - ai commi 1, 2, 5, 6 e 7 - diverse disposizioni lesive della posizione costituzionalmente garantita alle Regioni e che determinano un vulnus per la tutela della salute e per il buon governo della sanità regionale.

Nello specifico, le norme impugnate prevedono quanto segue:

comma 1: «Le regioni nominano direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale dei direttori generali di cui all'art. 1. A tale fine, la regione rende noto, con apposito avviso pubblico, pubblicato sul sito internet istituzionale della regione l'incarico che intende attribuire, ai fini della manifestazione di interesse da parte dei soggetti iscritti nell'elenco nazionale. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale, anche tenendo conto di eventuali provvedimenti di accertamento della violazione degli obblighi in materia di trasparenza. La commissione, composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla regione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, propone al presidente della regione una rosa di candidati, non inferiore a tre e non superiore a cinque, nell'ambito dei quali viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire. Nella rosa proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale»;

comma 2: «Il provvedimento di nomina, di conferma o di revoca del direttore generale è motivato e pubblicato sul sito internet istituzionale della regione e delle aziende o degli enti interessati, unitamente al curriculum del nominato, nonchè ai curricula degli altri candidati inclusi nella rosa. All'atto della nomina di ciascun direttore generale, le regioni definiscono e assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi con riferimento alle relative risorse, gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico, tenendo conto dei canoni valutativi di cui al comma 3, e ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi. La durata dell'incarico di direttore generale non può essere inferiore a tre anni e superiore a cinque anni. Alla scadenza dell'incarico, ovvero, nelle ipotesi di decadenza e di mancata conferma dell'incarico, le regioni procedono alla nuova nomina, previo espletamento delle procedure di cui presente articolo. In caso di commissariamento delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, il commissario è scelto tra i soggetti inseriti nell'elenco nazionale»;

comma 5: «La regione, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, provvede, entro trenta giorni dall'avvio del procedimento, a risolvere il contratto, dichiarando l'immediata decadenza del direttore generale con provvedimento motivato e provvede alla sua sostituzione con le procedure di cui al presente articolo, se ricorrono gravi e comprovati motivi, o se la gestione presenta una situazione di grave disavanzo imputabile al mancato raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 3, o in caso di manifesta violazione di legge o regolamenti o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, nonchè di violazione degli obblighi in materia di trasparenza di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97. In tali casi la regione provvede previo parere della Conferenza di cui all'art. 2, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che si esprime nel termine di dieci giorni dalla richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione del contratto può avere comunque corso. Si prescinde dal parere nei casi di particolare gravità e urgenza. Il sindaco o la Conferenza dei sindaci di cui all'art. 3, comma 14, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, ovvero, per le aziende ospedaliere, la Conferenza di cui all'art. 2, comma 2-bis, del medesimo decreto legislativo, nel caso di manifesta inattuazione nella realizzazione del Piano attuativo locale, possono chiedere alla regione di revocare l'incarico del direttore generale. Quando i procedimenti di valutazione e di decadenza dall'incarico di cui al comma 4 e al presente comma riguardano i direttori generali delle aziende ospedaliere, la Conferenza di cui al medesimo art. 2, comma 2-bis, è integrata con il sindaco del comune capoluogo della provincia in cui è situata l'azienda»;

comma 6: «E' fatto salvo quanto previsto dall'art. 52, comma 4, lettera d), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e quanto previsto dall'art. 3-bis, comma 7-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, e dall'art. 1, commi 534 e 535, della legge 28 dicembre 2015, n. 208»;

comma 7: «I provvedimenti di decadenza di cui ai commi 4 e 5 e di decadenza automatica di cui al comma 6 sono comunicati al Ministero della salute ai fini della cancellazione dall'elenco nazionale del soggetto decaduto dall'incarico. Fermo restando quanto disposto al comma 6, lettera a), dell'art. 1, i direttori generali decaduti possono essere reinseriti nell'elenco esclusivamente previa nuova selezione.

In questi termini le suddette disposizioni si strutturano come conseguenziali rispetto a quanto prevede l'art. 1.

Il comma 1 dell'art. 2, infatti, prevede che le Regioni nominino quali direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale di cui all'art. 1.

Il comma 2 dell'art. 2 prevede che anche la scelta del commissario -nelle ipotesi di commissariamento delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale - debba avvenire tra i soggetti iscritti nel citato elenco nazionale.

Il comma 5 richiama tali procedure previste dall'art. 2 qualora sia necessario sostituire un direttore generale decaduto. Anche il sostituto, pertanto, dovrà essere scelto tra i soggetti iscritti nell'elenco nazionale.

Il comma 7, poi, prevede che, in relazione ai direttori generali decaduti, il loro reinserimento in detto elenco possa avvenire solo previa nuova selezione da effettuarsi secondo le modalità previste dalle norme impugnate.

Il comma 6 dell'art. 2, infine, richiama le disposizioni sulla decadenza del direttore generale di cui ai commi 534 e 535 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che sono già stati impugnati dalla regione Veneto innanzi a codesta ecc.ma Corte con il ricorso iscritto al n. 17 del 2016 per violazione degli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, 117, III e IV comma, 118, 119, 123, 5 e 120 della Costituzione con riguardo al principio di leale collaborazione.

Oltre a questo occorre rilevare, più puntualmente, che l'art. 2, comma 1, prevede anche una sostanziale modifica della precedente modalità di selezione dei direttori generali.

Infatti, non solo l'elenco regionale degli idonei viene sostituito da quello nazionale, ma, mentre l'art. 3-bis, comma 3, prevedeva che fosse la Regione a disciplinare «modalità e criteri» della selezione, tale procedura viene ora stabilita direttamente dall'art. 2, comma 1, prevedendo che sia una commissione regionale (i cui componenti vengono però direttamente individuati dalla norma, prevedendo che solo uno sia nominato dalla Regione) a indicare una rosa di candidati (il cui numero è fissato dalla norma impugnata tra tre e cinque) all'interno della quale il Presidente della Regione è obbligato a nominare il direttore generale.

Inoltre, un altro nuovo limite alla autonomia regionale è costituito dalla previsione che nella rosa proposta non possano essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario.

In questo modo le Regioni vengono espropriate di ogni significativo spazio nella disciplina dell'accesso alla figura dei direttori generali, nonchè della possibilità, precedentemente riconosciuta dall'ordinamento, di selezionare i direttori secondo i criteri maggiormente funzionali al buon andamento del proprio modello di organizzazione sanitaria.

In altre parole, il Presidente della regione Veneto potrebbe vedersi costretto a scegliere tra una rosa di figure professionali interamente provenienti da una o più Regioni altamente inefficienti nella gestione sanitaria, nonostante la responsabilità del buon andamento della gestione sanitaria regionale ricada poi, comunque, sull'autonomia regionale.

Si determina pertanto, anche per i motivi riportati nella Premessa comune di cui al punto 1, che vengono qui interamente richiamati, la violazione degli articoli 117, III e IV comma e 118 della Costituzione.

Considerato quanto in precedenza affermato sui risultati conseguiti dalla regione Veneto nell'ambito della tutela della salute, si tratta, anche in questo caso, di disposizioni che non traducono alcuna valida esigenza unitaria, rischiano piuttosto di compromettere i diritti sociali in materia di tutela della salute oggi efficacemente garantiti nella regione Veneto e non rispettano il principio di proporzionalità, ponendosi quindi in violazione degli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione.

La ridondanza delle predette violazioni sulla competenza regionale in materia di tutela della salute deriva, anche in questo caso, chiaramente dal fatto che la Regione viene espropriata delle proprie competenze in relazione alla disciplina dell'accesso alla figura della dirigenza sanitaria.

Infine, viene violato anche l'art. 119 della Costituzione dal momento che l'ingerenza statale nella procedura relativa all'accesso alla dirigenza non considera che, come detto, è sulle Regioni che ricade la responsabilità del corretto governo, anche finanziario, dei sistemi sanitari regionali.

Viene altresì violato il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, dal momento che, come precisato nella richiamata Premessa comune di cui al punto 1, non è stata prevista alcuna intesa.

4) Illegittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonchè del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

La norma impugnata afferma che «Le disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 e 5, si applicano anche alle aziende ospedaliero universitarie, ferma restando per la nomina del direttore generale l'intesa della regione con il rettore».

La norma, estendendo le modalità e i criteri di nomina previsti per i direttori generali anche alle aziende ospedaliere universitarie, impone di riproporre, anche in relazione a tale disposizione, gli identici profili di illegittimità costituzionale specificati in relazione agli articoli 1 e 2, nonchè le motivazioni indicate nella Premessa comune di cui al punto 1.

Anche l'art. 6 del decreto legislativo n. 171/2016, pertanto, si pone contrasto con gli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, che ridonda nella violazione, anche autonomamente considerata, degli articoli 117, III e IV comma, 118, 119 e degli articoli 5 e 120 della Costituzione.

5) Illegittimità costituzionale dell'art. 9, commi 1 e 2, del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonchè del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

Le norme impugnate dispongono quanto segue: comma 1: «A decorrere dalla data di istituzione dell'elenco nazionale di cui all'art. 1, sono abrogate le disposizioni del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, di cui all'art. 3-bis, comma 1, commi da 3 a 7, e commi 13 e 15. Tutti i riferimenti normativi ai commi abrogati dell'art. 3-bis devono, conseguentemente, intendersi come riferimenti alle disposizioni del presente decreto»;

comma 2: «Restano altresì ferme, in ogni caso. le disposizioni recate dai commi 2, 7-bis, 8 per la parte compatibile con le disposizioni del presente decreto, e da 9 a 12 e 14 dell'art. 3-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, non abrogate dal presente decreto».

L'art. 9, dunque, per fare spazio alla nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 171 del 2016, abroga le precedenti disposizioni dell'art. 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 che garantivano invece un ampio spazio alla legislazione regionale; anche esso si pone, di conseguenza, in contrasto, per gli stessi motivi prima indicati in relazione agli articoli 1 e 2, con gli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, con una violazione che ridonda nella violazione, anche autonomamente considerata, degli articoli 117, III e IV comma, 118, 119 della Costituzione e degli articoli 5 e 120 della Costituzione.