Fatto e diritto

(Ricorso 20 luglio 2016)

 Ricorso ex art. 127 Cost. del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio al seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it Contro la Regione Piemonte, in persona del Presidente in carica, con sede in Torino, Piazza Castello n. 165 per la declaratoria della illegittimità costituzionale giusta deliberazione del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 14 luglio 2016, dell'art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione Piemonte 16 maggio 2016, n. 11 pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 20 del 19 maggio 2016.

In data 19 maggio 2016, sul n. 20 del Bollettino ufficiale della Regione Piemonte, è stata pubblicata la legge regionale 16 maggio 2016, n. 11 intitolata «Modifica alla legge regionale 14 maggio 1991, n. 21 (Norme per l'esercizio delle funzioni in materia farmaceutica)».

La legge consta di un solo articolo composto di due commi i quali intervengono entrambi sull'art. 10 della legge regionale 14 maggio 1991, n. 21 recante norme per l'esercizio delle funzioni in materia farmaceutica.

Il comma 1 sostituisce il comma 3 dell'art. 10 della legge citata stabilendo che «nelle farmacie aperte al pubblico sono impiegabili apparecchi di autodiagnostica destinati ad effettuare le prestazioni analitiche di prima istanza indicate nel decreto del Ministero della salute 16 dicembre 2010 (Disciplina dei limiti e delle condizioni delle prestazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell'ambito dell'autocontrollo ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera e), e per le indicazioni tecniche relative ai dispositivi strumentali ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera d) del decreto legislativo n. 153 del 2009).».

Il comma 2, invece, aggiunge, dopo il comma 3 dell'art. 10, un ulteriore comma - il comma 3-bis - il quale stabilisce che «negli esercizi commerciali individuati in base all'art. 5 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, l'impiego di apparecchi di autodiagnostica rapida è consentito limitatamente al rilevamento di prima istanza di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale, secondo le modalità stabilite da disposizioni della Giunta regionale».

Dette disposizioni eccedono le competenze regionali, invadono quelle statali e sono perciò violative di previsioni costituzionali: esse vengono pertanto impugnate con il presente ricorso ex art. 127 Cost. affinchè ne sia dichiarata la illegittimità costituzionale e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti.

Motivi di diritto

1. Come s'è detto in premessa, l'art. 1 della legge regionale in esame, così sostituendo il comma 3 dell'art. 10 della legge regionale n. 21 del 1991, stabilisce, al comma 1, che «nelle farmacie aperte al pubblico sono impiegabili apparecchi di autodiagnostica destinati ad effettuare le prestazioni analitiche di prima istanza indicate nel decreto ministeriale 16 dicembre 2010 del Ministero della salute (Disciplina dei limiti e delle condizioni delle prestazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell'ambito dell'autocontrollo ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera e), e per le indicazioni tecniche relative ai dispositivi strumentali ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera d) del decreto legislativo n. 153 del 2009)».

La disposizione, stabilendo che nelle farmacie aperte al pubblico sono impiegabili apparecchi di autodiagnostica destinati ad effettuare le prestazioni analitiche di prima istanza, riproduce sostanzialmente un principio fondamentale in materia di tutela della salute contenuto nella normativa statale richiamata.

L'art. 1 del decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153, il quale ha provveduto, in attuazione della delega contenuta nell'art. 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69, a definire i «nuovi compiti e funzioni assistenziali delle farmacie pubbliche e private operanti in convenzione con il Servizio sanitario nazionale» (comma 1), ha infatti già previsto, tra «i nuovi servizi assicurati dalle farmacie nell'ambito del Servizio sanitario nazionale» (comma 2), «l'effettuazione, presso le farmacie, nell'ambito dei servizi di secondo livello di cui alla lettera d), di prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell'ambito dell'autocontrollo, nei limiti e alle condizioni stabiliti con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, restando in ogni caso esclusa l'attività di prescrizione e diagnosi, nonchè il prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti» (comma 2, lettera e).

Tale disposizione, avente chiara valenza di principio fondamentale, ha trovato poi attuazione nel decreto ministeriale 16 dicembre 2010 - recante «Disciplina dei limiti e delle condizioni delle prestazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell'ambito dell'autocontrollo ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera e), e per le indicazioni tecniche relative ai dispositivi strumentali ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera d) del decreto legislativo n. 153 del 2009» e parimenti richiamato dalla norma regionale qui censurata -, il quale ha definito e disciplinato, sempre per quanto qui interessa, le prestazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell'ambito dell'autocontrollo, effettuabili in farmacia.

La riproduzione in una norma di legge regionale di principi fondamentali determinati da norme di legge statali nelle materie di legislazione concorrente - e, come meglio si vedrà trattando dei profili di incostituzionalità del secondo comma dell'art. 1 della legge regionale all'esame, la disciplina del servizio farmaceutico attiene alla materia della tutela della salute - si traduce in una novazione della fonte lesiva, come tale, dell'art. 117, comma 3, Cost.

Come già più volte ribadito da codesta Corte (v., da ultimo, la sentenza 9 ottobre 2015, n. 195), «a prescindere dalla conformità o difformità della legge regionale alla legge statale, la novazione della fonte con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale costituisce causa di illegittimità della norma regionale (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2011 e n. 26 del 2005). La legge regionale che pur si limiti sostanzialmente a ripetere il contenuto della disciplina statale determina la violazione dei parametri invocati, derivando la sua illegittimità costituzionale non dal modo in cui ha disciplinato, ma dal fatto stesso di aver disciplinato una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato», nella specie rappresentata dalla determinazione, nelle materie di legislazione concorrente, dei principi fondamentali cui deve attenersi l'esercizio della potestà legislativa regionale.

La disposizione regionale all'esame è dunque costituzionalmente illegittima per violazione, sotto questo profilo, dell'art. 117, comma 3, Cost..

2. Il comma 2 della legge regionale in questione, aggiungendo il comma 3-bis all'art. 10 della stessa legge regionale n. 21/1991, stabilisce poi, come pure s'è detto, che «negli esercizi commerciali individuati in base all'art. 5 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, l'impiego di apparecchi di autodiagnostica rapida è consentito limitatamente al rilevamento di prima istanza di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale, secondo le modalità stabilite da disposizioni della Giunta regionale».

Tale disposizione - il comma 2 dell'art. 1 - contrasta invece sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, così violando l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, sia, come si vedrà, con lo stesso art. 32 della Carta fondamentale.

Per meglio comprendere il senso e la portata delle censure che si versano esponendo è dunque d'uopo premettere che, come s'è accennato, l'art. 1 del decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 ha provveduto, in attuazione della delega contenuta nell'art. 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69, a definire i «nuovi compiti e funzioni assistenziali delle farmacie pubbliche e private operanti in convenzione con il Servizio sanitario nazionale» (comma 1) stabilendo, per quanto qui interessa:

«la erogazione di servizi di secondo livello rivolti ai singoli assistiti, in coerenza con le linee guida ed i percorsi diagnostico-terapeutici previsti per le specifiche patologie, su prescrizione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, anche avvalendosi di personale infermieristico, prevedendo anche l'inserimento delle farmacie tra i punti forniti di defibrillatori semiautomatici; (comma 2, lettera d);

«l'effettuazione, presso le farmacie, nell'ambito dei servizi di secondo livello di cui alla lettera d), di prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell'ambito dell'autocontrollo, nei limiti e alle condizioni stabiliti con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, restando in ogni caso esclusa l'attività di prescrizione e diagnosi, nonchè il prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti» (comma 2, lettera e).

In attuazione di tali disposizioni il decreto ministeriale 16 dicembre 2010 - recante «Disciplina dei limiti e delle condizioni delle prestazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell'ambito dell'autocontrollo ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera e), e per le indicazioni tecniche relative ai dispositivi strumentali ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera d) del decreto legislativo n. 153 del 2009 -, ha tra l'altro previsto, sempre per quanto qui interessa, che:

«ai fini del presente decreto, per prestazioni analitiche di prima istanza mediante l'utilizzo di dispositivi per «test autodiagnostici», devono intendersi test che in via ordinaria sono gestibili direttamente dai pazienti in finzione di autocontrollo a domicilio, ovvero in caso di condizioni di fragilità di non completa autosufficienza, possono essere utilizzati mediante il supporto di un operatore sanitario, presso le farmacie territoriali pubbliche e private» (art. 1, comma 1, decreto ministeriale citato);

per le prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell'ambito dell'autocontrollo, effettuabili in farmacia, «sono utilizzabili i dispositivi medici per test autodiagnostici destinati ad effettuare le seguenti prestazioni analitiche di prima istanza: test per glicemia, colesterolo e trigliceridi» (art. 2, comma 1, decreto ministeriale citato).

Dal complesso delle riportate disposizioni risulta dunque con assoluta evidenza la volontà del legislatore nazionale di stabilire, con norme aventi valenza e valore di principi fondamentali della materia, una riserva a favore delle farmacie territoriali pubbliche e private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale per l'esecuzione delle prestazioni analitiche in parola.

In particolare risulta che il legislatore nazionale ha voluto consentire l'utilizzo, quando necessario con il supporto di un operatore sanitario, di apparecchi di autodiagnostica rapida per il rilevamento, tra l'altro, della glicemia, del colesterolo e dei trigliceridi esclusivamente presso le farmacie pubbliche e private, escludendone di conseguenza l'utilizzo presso strutture diverse - parafarmacie o, in genere, e come nel caso, esercizi commerciali - quand'anche abilitate, in forza di altre disposizioni di legge (v. art. 5, comma 1, decreto-legge n. 223/2006), alla rivendita di talune specialità medicinali, quali farmaci da banco o di automedicazione o non soggetti a prescrizione medica; e provvedendo, poi, con il decreto ministeriale 16 dicembre 2010, ad individuare i limiti e le condizioni affinchè tale impiego avvenga in condizioni di sicurezza per gli utenti: condizioni, queste, che non possono evidentemente essere assicurate dagli - e all'interno degli - esercizi commerciali ai quali la disposizione della legge regionale impugnata ha inteso estendere la possibilità di effettuare le prestazioni analitiche delle quali si discorre.

La norma regionale all'esame, prevedendo invece che «l'impiego» di apparecchi di autodiagnostica rapida per il rilevamento di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale possa aver luogo anche negli esercizi commerciali individuati in base all'art. 5 del decreto-legge n. 223/2006 - vale a dire negli esercizi di vicinato, nelle medie e nelle grandi strutture di vendita di cui all'art. 4, comma 1, lettera d), e) ed f) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 - «secondo le modalità stabilite da disposizioni della Giunta regionale», contrasta dunque con i principi fondamentali recati dalla normativa statale di cui al decreto legislativo n. 153/2009 e al decreto ministeriale 16 dicembre 2010 la quale, all'evidente scopo di garantire adeguate condizioni di sicurezza e di tutela della salute per l'utente, ha inteso riservare, come s'è detto, i servizi sanitari afferenti l'impiego di detti dispositivi alle farmacie nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, con l'assistenza, in caso di non completa autosufficienza dei pazienti, di personale sanitario adeguatamente formato (v. art. 4, comma 4, decreto ministeriale citato).

L'incostituzionalità - e, ancor prima, l'irrazionalità - della norma che si censura risulta ancor più evidente ove si consideri che l'art. 5 del decreto ministeriale citato prevede altresì, del tutto opportunamente, la diretta responsabilità del farmacista titolare o del direttore responsabile sia per la «corretta installazione e manutenzione dei dispositivi utilizzato» (comma 1) sia, e di riflesso, per la «inesattezza dei risultati analitici, qualora questa sia dovuta a carenze nella installazione e manutenzione delle attrezzature utilizzate» (comma 2); e che l'art. 4 dello stesso decreto stabilisce anche che i medesimi - il farmacista titolare o il direttore responsabile - provvedano altresì a definire «in un apposito documento, conservato in originale presso la farmacia e inviato in copia all'Azienda sanitaria locale territorialmente competente, i compiti e le responsabilità degli infermieri o degli operatori socio-sanitari che forniscono il supporto all'utilizzazione delle strumentazioni necessarie per l'esecuzione delle analisi di cui all'art. 2, nel rispetto dei rispettivi profili professionali» (comma 3), operatori che devono inoltre essere adeguatamente formati e periodicamente aggiornati (comma 4).

Il farmacista titolare o il direttore responsabile viene in tal modo costituito garante (e, perciò, responsabile) della corretta esecuzione delle prestazioni analitiche, anche assistite, erogate all'interno della propria farmacia: è tale responsabilità - nonchè gli obblighi connessi, anche di tipo informativo (v. l'art. 6 del pluricitato d.m.) - si giustifica agevolmente e pienamente in ragione della particolare qualificazione tecnica e competenza professionale del farmacista.

L'art. 1, comma 2, della legge regionale Piemonte n. 11/2016 non contiene invece alcuna previsione al riguardo.

E tale lacuna normativa non può certo essere colmata ritenendo responsabile il direttore dell'esercizio commerciale posto che questi, com'è assolutamente pacifico, è del tutto privo di qualsiasi qualificazione tecnica e competenza professionale in materia; ovvero il farmacista presente all'interno del reparto destinato alla vendita dei farmaci consentiti dal momento che la responsabilità di questi è per legge circoscritta e limitata, appunto, alla vendita di quelle specialità medicinali e non può certamente estendersi, in difetto di una specifica previsione legislativa analoga a quella contenuta nella legge statale, alle prestazioni analitiche di prima istanza la cui effettuazione la legge regionale all'esame ha inteso consentire anche all'interno degli esercizi commerciali.

La conseguenza è dunque che nel caso di prestazioni analitiche effettuate all'interno di un esercizio commerciale piemontese non esiste una figura professionale che sia chiamata dalla legge a rispondere della cattiva esecuzione delle analisi qualora questa sia dovuta a carenze nell'installazione e/o nella manutenzione dei dispositivi e delle attrezzature utilizzate ovvero all'inidoneità o alla mancata formazione e/o aggiornamento del personale sanitario: con grave rischio di pregiudizio, per questo riguardo, della salute pubblica e con violazione, sotto questo profilo, anche dell'art. 32 della Costituzione.

In realtà, anche questi rilievi dimostrano come la disposizione censurata trascuri il ruolo centrale che le farmacie rivestono nell'ambito del Servizio sanitario nazionale quali presidi sanitari di prima istanza presso i quali vengono erogati servizi e prestazioni diverse, ma pur sempre con l'assistenza diretta del farmacista o di altre figure professionali dell'area sanitaria.

Come affermato da codesta Corte nella sentenza 14 dicembre 2007, n. 430 - con la quale fu dichiarata la. non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma (art. 5 decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) che (per la prima volta) consentiva la vendita al pubblico negli esercizi commerciali di cui qui si discute (esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita) di farmaci da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica -, la disciplina relativa all'organizzazione del servizio farmaceutico - nella quale rientra certamente anche quella qui in discussione (la disposizione regionale che qui si impugna interviene infatti sulla legge regionale n. 21/1991 che contiene norme per l'esercizio delle funzioni in materia farmaceutica) - attiene alla materia della «tutela della salute» e, come tale, ai fini del riparto delle competenze legislative stabilito dall'art. 117 Cost., va ricondotta al titolo di competenza concorrente al riguardo previsto, come del resto già avveniva sotto il regime anteriore alla modifica del titolo V della parte II della Costituzione.

Come allora affermato e come poi ribadito da tutta la giurisprudenza costituzionale successiva (da ultimo nella sentenza 18 luglio 2014, n. 216; ma, ancor prima, dalle sentenze 31 ottobre 2013, n. 255, 12 ottobre 2012, n. 231, 21 aprile 2011, n. 150, 13 novembre 2009, n. 295), «la complessa regolamentazione pubblicistica della attività economica di rivendita dei farmaci è - infatti: n.d.r. - preordinata al fine di assicurare e controllare l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l'indubbia natura commerciale dell'attività del farmacista».

Se è dunque indiscutibile, per risalente insegnamento di codesta Corte, che la disciplina della vendita dei farmaci e, adesso, della prestazione dei servizi assistenziali che possono essere erogati dalle farmacie ai sensi dell'art. 11 della legge n. 69/2009 e dell'art. 1 del decreto legislativo n. 153/2009 attiene alla tutela della salute e, come tale, formando oggetto di legislazione concorrente, deve rispettare, a livello regionale, i principi fondamentali determinati dalle leggi dello Stato, è altrettanto indiscutibile che, come s'è detto, le farmacie svolgono un ruolo centrale e per certi versi insostituibile nel quadro dell'organizzazione sanitaria lato sensu intesa.

Come evidenziato dalla già richiamata sentenza n. 216/2014 di codesta Corte - che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla norma in precedenza citata (art. 5 decreto-legge n. 223/2006) nella parte in cui non consentiva agli esercizi commerciali ivi previsti, tra i quali le c.d. parafarmacie, la vendita di medicinali di fascia C soggetti a prescrizione medica -, malgrado l'estensione a realtà commerciali diverse dalle farmacie di opportunità di vendita in passato riservate solo a queste, è indubbio che fra le farmacie e le c.d. parafarmacie - e, qui si aggiunge, a più forte ragione, tra le farmacie e gli esercizi commerciali di cui all'art. 4, comma 1, lettera d), e) ed f) del decreto legislativo n. 114/1998 - «permangano una serie di significative differenze, tali da rendere la scelta del legislatore - di differenziarne il trattamento: n.d.r. - non censurabile in termini di ragionevolezza».

Dopo aver ricordato che il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), aveva già stabilito che sul farmacista gravassero una serie di obblighi e che questi obblighi si sono poi sviluppati nel corso del tempo e in ragione dell'aumento delle conoscenze in materia farmacologica, fino ad arrivare alle previsioni contenute nel decreto legislativo n. 153/2009 il cui art. 1, in particolare, ha posto a carico delle farmacie una serie di funzioni assistenziali di stretta collaborazione col Servizio sanitario nazionale, codesta Corte ha sottolineato che «le farmacie, infatti, proprio in quanto assoggettate ad una serie di obblighi che derivano dalle esigenze di tutela della salute dei cittadini, offrono necessariamente un insieme di garanzie maggiori che rendono non illegittima la permanenza della riserva loro assegnata. Non si tratta di accogliere l'opinione secondo cui i farmacisti che hanno superato il concorso per l'assegnazione di una farmacia danno maggiori garanzie rispetto a quelli preposti alle parafarmacie, poichè gli uni e gli altri hanno il medesimo titolo di studio e sono iscritti a tutti gli effetti professionale. Si tratta, invece, di prendere atto che la totale liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica - che sono medicinali con una maggiore valenza terapeutica, risultando altrimenti privo di senso l'obbligo di prescrizione - verrebbe affidata ad esercizi commerciali che lo stesso legislatore ha voluto assoggettare ad una quantità meno intensa di vincoli e adempimenti, anche in relazione alle prescrizioni».

Tali considerazioni - che secondo codesta Corte valgono a giustificare un regime differenziato anche nell'ottica dell'art. 41 Cost. e, quindi, della libertà di impresa e della tutela della concorrenza - danno altresì ragione del fatto che il legislatore nazionale abbia inteso riservare alle farmacie - escludendone di riflesso realtà commerciali diverse - l'effettuazione delle prestazioni analitiche di prima istanza delle quali si discute.

La competenza esclusiva rispetto all'erogazione di determinati servizi sanitari e assistenziali che la normativa statale ha inteso riconoscere alle farmacie si giustifica infatti nella considerazione che solo queste sono nelle condizioni di offrire all'utente quelle garanzie che la tutela del diritto alla salute inderogabilmente esige, condizioni che, al contrario, gli esercizi commerciali, tanto più quelli di piccole dimensioni come gli esercizi di vicinato, non sono oggettivamente in grado di offrire.

E se è dunque ammissibile che questi, ai sensi dell'art. 5 del citato decreto-legge n. 223/2006, possano effettuare «attività di vendita» al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, deve ritenersi invece inammissibile che gli stessi possano surrogarsi alle farmacie - e al personale che ivi opera - nell'esecuzione di delicate prestazioni di analisi come quelle riguardanti l'accertamento del livello dei trigliceridi, della glicemia e del colesterolo totale.

L'art. 1, comma 2, della legge regionale in esame, consentendo agli esercizi commerciali di sostituirsi alle farmacie - anche - nell'erogazione dei servizi in parola, contrasta dunque non soltanto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute - alla quale, come detto, è da ricondurre la disciplina dell'organizzazione sanitaria e, in particolare, del servizio farmaceutico -, violando pertanto l'art. 117, terzo comma, della Carta fondamentale; ma, nella misura in cui non tutela adeguatamente la salute dei cittadini, lede altresì il diritto - individuale - e l'interesse - collettivo - che l'art. 32, comma 1, Cost. ha inteso garantire e proteggere.