Ricorso della Regione Liguria (C.F. e P.I. 00849050109), in persona del Presidente della Giunta Regionale e legale rappresentante pro tempore, Dott. Giovanni Toti (C.F. TTOGNN68P07L833K), con sede legale in Genova, Piazza De Ferrari, 1, rappresentata e difesa, ai fini del presente giudizio, con facoltà anche disgiunte, dall'Avv. Barbara Baroli Mariniello (C.F. BRLBBR55L54D969W) e dall'Avv. Prof. Giuseppe Franco Ferrari (C.F. FRRGPP50B08M109X), giusta procura a margine del presente ricorso e delibera della Giunta Regionale n. 1079 dell'8 ottobre 2015 (doc. n. 1), con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via di Ripetta, 142 e indicazione del numero di fax 06-68636363 e dell'indirizzo di posta elettronica certificata giuseppe.ferrari@pavia.pecavvocati.it per ogni futura comunicazione;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per la dichiarazione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 19 giugno 2015, recante Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonchè norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 19.6.2015, n. 140, S.O e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, 1. n. 125 del 6 agosto 2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2015, n. 188, S.O.
Fatto
Con il presente ricorso, la Regione Liguria impugna l'art. 9-septies (Rideterminazione del livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale) del d.l. 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonchè norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), introdotto dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 125 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2015, n. 188, S.O.
In particolare, oggetto di censura sono i commi 1 e 2 dell'art. 9-septies, di seguito riportati:
«1. Ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 e successive modificazioni, e in attuazione di quanto stabilito dalla lettera E. dell'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 26 febbraio 2015 e dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 2 luglio 2015, nonchè dagli articoli da 9-bis a 9-sexies del presente decreto, il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, come stabilito dall'articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 è ridotto dell'importo di 2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, possono comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario di cui al comma 1 anche adottando misure alternative, purchè assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario». In altri termini, la disciplina di cui al comma 1 citato, in asserita attuazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'articolo 46, comma 6, del d.l. n. 66/2014, nonchè di due intese sancite in Conferenza Stato-Regioni (rispettivamente in data 26 febbraio 2015 e 2 luglio 2015), nonchè degli articoli da 9-bis a 9-sexies del medesimo decreto-legge n. 78 del 2015, anch'essi inseriti in sede di conversione, dispone un taglio lineare del finanziamento statale al Servizio sanitario nazionale nella misura di euro 2.532 milioni di euro «a decorrere dal 2015».
La disciplina contenuta nel comma 2, invece (con formulazione peraltro di non immediata comprensione come si dirà infra), fa salva la possibilità, per le Regioni e le Province autonome, «al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza» (indipendentemente dal taglio disposto dal primo comma), di «conseguire l'obiettivo economico-finanziario di cui al comma 1 anche adottando misure alternative, purchè assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario».
Più nel dettaglio, per quanto concerne il comma 1, la disciplina impugnata si presenta come diretta a ridurre la spesa sanitaria, a partire dall'esercizio in corso, in una misura fissa (2.352 milioni di euro) e in via definitiva, con previsione di applicazione annuale del «taglio» di spesa, senza limite di tempo.
Come anticipato, la riduzione del finanziamento del SSN prevista dal comma 1 vuole apparire funzionale al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'articolo 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014 e coordinata con le misure di risparmio e di contenimento della spesa sanitaria disciplinate negli articoli da 9-bis a 9-sexies richiamati.
A tale proposito, occorre, quindi, riportare per esteso l'art. 46, comma 6, citato, ricordando sin d'ora che gli ultimi due periodi - cui si riferisce segnatamente l'art. 9-septies, comma 1, del d.l. n. 78/2915 - sono stati aggiunti dall'art. 1, comma 398, lett. c), della legge di stabilità 2015, n. 190 del 2014:
«Le regioni a statuto ordinario, in conseguenza dell'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza pubblica introdotti dal presente decreto e a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente applicabili ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, della Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 500 milioni di euro per l'anno 2014 e di 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, in ambiti di spesa e per importi proposti in sede di autocoordinamento delle regioni medesime, da recepire con Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, di Trento e di Bolzano, entro il 31 maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed entro il settembre 2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro 20 giorni dalla scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente, e sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. Per gli anni 2015-2018 il contributo delle regioni a statuto ordinario, di cui al primo periodo, è incrementato di 3.452 milioni di euro annui in ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento dalle regioni da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015. A seguito della predetta intesa sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. In assenza di tale intesa entro il predetto termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto previsto al secondo periodo, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale».
Per quanto riguarda le due intese sancite nella sede inter-istituzionale, delle quali la disciplina denunciata si presenta come attuativa, occorre anzitutto riportare quanto previsto alla lettera E dell'intesa in data 26 febbraio 2015:
«Ai sensi dell'art. 30, comma 2, del Patto della Salute di cui all'Intesa del 10 luglio 2014 Governo, Regioni e Province Autonome, entro il 31 marzo 2015, con Intesa da sancire in sede di Conferenza Stato-Regioni e Province Autonome individuano misure di razionalizzazione ed efficientamento della spesa del SSN. Procedono, altresì, al rafforzamento dei sistemi di monitoraggio in ordine all'attuazione del Regolamento sugli standard ospedalieri di cui all'Intesa Stato-Regioni e Province Autonome del 5 agosto 2014. Le regioni e province autonome potranno conseguire, comunque, il raggiungimento dell'obiettivo finanziario intervenendo su altre aree della spesa sanitaria, alternative rispetto a quelle individuate dalla citata Intesa da sancire entro il 31 marzo 2015, ferma restando la garanzia di raggiungimento dell'equilibrio di bilancio del proprio servizio sanitario regionale, assicurando, in ogni caso, economie non inferiori a 2.352 milioni di euro alle quali corrisponde una conseguente rideterminazione delle risorse individuate dall'art. 1, comma 556, della legge n. 190/2014» (che si ritrascrive di seguito: «Il livello del finanziamento del Servizio Sanitario nazionale a cui concorre lo Stato è stabilito in 112.062.000.000 euro per l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016, salve eventuali rideterminazioni in attuazione dell'articolo 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, come modificato dal comma 398 del presente articolo, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, del Patto per la salute»).
Nel preambolo del decreto-legge n. 78 del 2015 si fa riferimento, tra l'altro, alla «necessità e urgenza di specificare ed assicurare il contributo alla finanza pubblica da parte degli enti territoriali, come sancito nell'Intesa raggiunta in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella riunione del 26 febbraio 2015».
E' importante sottolineare fin d'ora che le disposizioni impugnate rinviano all'intesa in data 10 luglio 2014, con la quale è stato sottoscritto il Patto per la salute 2014-2016, che all'art. 1, comma 1, aveva fissato - al fine di garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il predetto triennio - in 112.062.000.000 euro per l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016 il livello del finanziamento del SSN cui concorre lo Stato, «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico», con conseguente applicazione dell'art. 30, comma 2 (a norma del quale «in caso di modifiche normative sostanziali e/o degli importi di cui all'art. 1, ove necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico, la presente intesa dovrà essere altresì oggetto di revisione»).
Le disposizioni legislative impugnate, come si è detto, rinviano anche all'intesa in data 2 luglio 2015, con la quale, sub G.1., si prevede quanto segue:
«Ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 e in attuazione di quanto stabilito dall'Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 26 febbraio 2015, prevista dall'art. 1, comma 398, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il livello del finanziamento del SSN a cui concorre lo Stato, come stabilito dall'articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 è ridotto dell'importo di 2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015. Conseguentemente per l'anno 2015 le risorse disponibili per il SSN sono pari a 109.715 miliardi di euro e per l'anno 2016 sono pari a 113.097 miliardi di euro, che saranno ripartiti in base agli attuali criteri previsti dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68».
Mette conto ricordare che il comma 398 citato aggiunge al comma 6 dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014 i seguenti periodi: «Per gli anni 2015-2018 il contributo delle regioni a statuto ordinario, di cui al primo periodo, è incrementato di 3.452 milioni di euro annui in ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento dalle regioni da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015. A seguito della predetta intesa sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. In assenza di tale intesa entro il predetto termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto previsto al secondo periodo, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale».
La medesima intesa in data 2 luglio, sub G.2, prevede che «Le Regioni a seguito di quanto convenuto al punto E) dell'Intesa del 26 febbraio 2015, in relazione alla previsione di rideterminazione del livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale ivi contenuta, hanno iniziato a porre in essere azioni di contenimento ed efficientamento della dinamica della spesa dei propri SSR».
Occorre sin d'ora sottolineare che la Regione Liguria non ha partecipato all'intesa in data 2 luglio 2015 e non ha approvato le previsioni in essa contenute.
Per quanto riguarda il comma 2 dell'impugnato art. 9-septies («Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, possono comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario di cui al comma 1 anche adottando misure alternative, purchè assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario»), esso va messo in relazione con la riportata lettera E dell'intesa in data 26 febbraio 2015, laddove questa stabiliva che «Le regioni e province autonome possono conseguire, comunque, il raggiungimento dell'obiettivo finanziario intervenendo su altre aree della spesa sanitaria, alternative rispetto a quelle individuate dalla citata Intesa da sancire entro il 31 marzo 2015, ferma restando la garanzia di raggiungimento dell'equilibrio di bilancio del proprio servizio sanitario regionale, assicurando, in ogni caso, economie non inferiori a 2.352 milioni di euro alle quali corrisponde una conseguente rideterminazione delle risorse individuate dall'art. 1, comma 556, della legge n. 190/2014» (enfasi aggiunta).
In definitiva, ipotizzando di suddividere il «taglio» disposto dalle disposizioni censurate tra le Regioni sulla base del riparto risultante dalla Intesa Stato-Regioni n. 173/2014, avente ad oggetto la Nuova proposta del Ministero della salute di deliberazione del CIPE concernente il riparto tra le Regioni delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l'anno 2014, il pregiudizio economico che la Regione esponente è destinata a subire in termini di riduzione del finanziamento può essere quantificato in circa sessantacinque milioni di euro, importo che - come si dirà meglio infra - non trova capienza nei risparmi presumibilmente conseguibili attraverso le misure di contenimento della spesa previste dalle disposizioni di cui agli artt. da 9-bis a 9-sexies (i cui effetti potranno eventualmente percepirsi nell'ambito delle annualità successive al 2015, tenuto conto delle tempistiche necessarie per la loro effettiva attuazione).
Così ricostruito il quadro normativo in cui si inserisce la previsione censurata e le immediate ricadute che la sua applicazione è idonea a produrre sul servizio sanitario regionale, si evidenzia che l'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2015 risulta manifestamente illegittimo per le seguenti ragioni di diritto, in forza delle quali si insiste affinchè codesta ecc.ma Corte voglia pronunciarne l'illegittimità costituzionale.
Diritto
I. Illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, secondo e terzo comma, 118, 119, primo e quarto comma, 120 Cost. e del principio di leale collaborazione, sotto il profilo dei riflessi immediati delle disposizioni impugnate sull'autonomia finanziaria della Regione ricorrente e, in generale, sulle competenze in materia di tutela della salute e organizzazione sanitaria.
La disciplina legislativa oggetto della presente impugnazione dev'essere censurata - in riferimento ai rubricati parametri e, in particolare, per il vulnus arrecato all'autonomia finanziaria della ricorrente, specie sotto il profilo della violazione dell'art. 119, primo e quarto comma, Cost. - anzitutto nella parte in cui dispone una forte riduzione del finanziamento del SSN con effetto immediato e destinato ad incidere sull'esercizio in corso, senza che, peraltro, tale riduzione possa realisticamente essere affrontata attraverso le misure di razionalizzazione e risparmio previste dagli artt. da 9-bis a 9-sexies del medesimo decreto-legge n. 78 del 2015, anch' essi inseriti in sede di conversione.
Si tratta, infatti, per lo più di misure di non immediata applicazione, subordinate alla previa adozione di decreti ministeriali e di ulteriori intese in Conferenza Stato-Regioni (cfr., ad esempio, art. 9-ter, comma 1, lett. b), che fa riferimento ad un «accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro il 15 settembre 2015» per la determinazione del «tetto di spesa regionale per l'acquisto di dispositivi medici»; art. 9-quater, comma 1, che rimette ad un «decreto del Ministro della salute, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» l'individuazione delle «condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale»; l'art. 9-quater, comma 8, che attribuisce ad un «decreto del Ministro della salute, da adottare d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» l'individuazione dei «criteri di appropriatezza dei ricoveri di riabilitazione ospedaliera»; art. 9-ter, comma 10, lett. b), secondo cui «entro il 30 settembre 2015, l'AIFA conclude le procedure di rinegoziazione con le aziende farmaceutiche volte alla riduzione del prezzo di rimborso dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale»), destinate a produrre effetti «a regime», prevedibilmente, negli esercizi successivi, con grave pregiudizio per l'organizzazione e il buon andamento del servizio sanitario regionale, della garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni e del principio di integrale finanziamento delle funzioni.
L'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione in materia di tutela della salute risulta così immediatamente compressa, in contrasto con il principio di leale collaborazione che avrebbe quanto meno imposto di attendere l'avvio della fase di attuazione dei nuovi meccanismi di risparmio e di contenimento della spesa, al fine di mitigare (non certo elidere, stante l'inadeguatezza - di cui si dirà meglio infra - delle misure in questione) l'impatto del taglio sull'organizzazione del sistema sanitario.
Si evidenzia, infatti, che, sulla base dell'ipotesi di ripartizione del «taglio» richiamata nella parte narrativa del presente ricorso, la Regione Liguria è destinata a subire una riduzione di circa sessantacinque milioni di euro della contribuzione statale al SSN e tale riduzione interviene in una fase assai avanzata della programmazione e pianificazione sanitaria, senza che i meccanismi di contenimento della spesa previsti dagli artt. da 9-bis a 9-sexies del d.l. n. 78/2015 (quand'anche li si voglia ritenere adeguati al fine di compensare il taglio censurato) dispongano del tempo necessario per produrre i propri effetti, tanto più in presenza di ulteriori disposizioni che aggravano (anzichè alleggerire) i costi del servizio sanitario.
Più nel dettaglio, l'Intesa Stato-Regioni n. 173/2014 sopra citata ha, a suo tempo, calcolato il fabbisogno delle Regioni suddividendolo nei 3 livelli essenziali di assistenza: (a) prevenzione per il 5%, (b) distrettuale per il 51% e (c) ospedaliera per il 44% come previsto dalla normativa in materia di costi standard (cfr. art. 27 d.lgs. n. 68/2011).
In tale contesto, il mancato introito di 65 milioni finirà per incidere in termini di minori servizi ai cittadini nelle 3 aree sopra indicate.
In concreto, la Regione subirà una riduzione delle risorse da dedicare agli screening ed alle altre attività di prevenzione stimabile, sulla base delle percentuali sopra descritte, in circa 3 milioni di euro.
Sulla parte distrettuale - che include la medicina di base, la farmaceutica, la specialistica e l'assistenza territoriale - sono stimabili minori risorse per euro 33 milioni, a fronte di costi in notevole incremento relativamente ai nuovi farmaci oncologici ed anti epatite (di cui si dirà infra).
Infine, anche le risorse da destinare all'assistenza ospedaliera (degenza, day hospital, pronto soccorso) subiranno una riduzione stimabile in circa euro 30 milioni.
Tale riduzione, come si è anticipato, non soltanto non è compensata dalle misure di risparmio introdotte contestualmente al taglio contestato, ma è addirittura aggravata dall'incremento dei costi derivante dai seguenti fattori.
Basti pensare, a tale riguardo, che l'art. 1, comma 593, della legge n. 190/2014 ha previsto l'istituzione di un fondo per l'acquisto di medicinali innovativi che ammonta ad euro 500 milioni per l'anno 2015.
Sennonchè, da un lato, tale importo, sulla base degli andamenti rilevati a livello nazionale, si profila insufficiente rispetto alla spesa effettivamente sostenuta. Dall'altro lato, tale somma trova copertura per 400 milioni di euro nelle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi di piano sanitario nazionale, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 662/1996 e soltanto per 100 milioni su contributi statali. E' evidente, pertanto, che mentre i 100 milioni testè menzionati rappresentano effettivamente risorse aggiuntive a carico del bilancio dello Stato, 400 milioni debbono essere tratti dalle risorse destinate al fondo sanitario nazionale, andando a ridurre ulteriormente il finanziamento di quest'ultimo (già pesantemente inciso dal taglio disposto dalla norma censurata). Per quanto concerne la Regione Liguria il maggior costo può, quindi, essere stimato in euro 38, 2 milioni.
A ciò si aggiunga, inoltre, il costo ulteriore rappresentato dal personale, in considerazione del fatto che l'art. 1, comma 256, legge n. 190/2014 ha rimosso il blocco delle progressioni economiche previsto dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, sicchè sono ripristinate per la Dirigenza medica, veterinaria e del ruolo sanitario le possibilità di progressione dell'indennità di esclusività contrattualmente previste, nonchè le forme di equiparazione al raggiungimento dei 5 anni di attività per gli appartenenti alle due aree della dirigenza, per un maggior costo di euro 6,2 milioni, stimabile sulla base dei dati forniti dalle aziende alla luce del numero di persone interessate dal beneficio contrattuale. (doc. n. 2)
Appare, pertanto, evidente che il taglio disposto dalla previsione censurata è destinato - ove ne venisse confermata la legittimità - a interferire non soltanto con l'autonomia finanziaria delle Regioni e con l'esercizio delle rispettive competenze legislative ed amministrative, ma anche con l'effettiva capacità del sistema sanitario di assicurare un adeguato livello di tutela del fondamentale diritto alla salute presidiato dall'art. 32 Cost.
Del resto, il connotato d'incertezza che contraddistingue il meccanismo legislativo censurato non è sfuggito neppure alla XII Commissione della Camera dei Deputati, che al parere favorevole con osservazioni sul disegno di legge di conversione C. 3262 ha anteposto, tra le altre, la seguente premessa: «valutate positivamente, nel complesso, le disposizioni recate dagli articoli 9-bis e seguenti del decreto-legge, in quanto si apprezza lo sforzo compiuto, in termini di riorganizzazione ed efficientamento del sistema sanitario, e fatto presente, al riguardo, quanto sia importante che il predetto obiettivo venga raggiunto, onde evitare che il mancato aumento del finanziamento si traduca in un mero taglio lineare, apparendo quindi necessario che il sistema si doti di modalità di valutazione annuale dell'impatto effettivo delle singole misure adottate, prevedendo eventuali meccanismi correttivi ...» (enfasi aggiunta) (doc. n. 3).
Lo stesso parere avanza fondate riserve in merito alla mancanza delle necessarie relazioni tecniche per la stima sul piano quantitativo dei risparmi che genericamente si presumono come effetto delle misure previste dagli articoli precedenti e in merito ai probabili contenziosi relativi alle procedure di rinegoziazione dei contratti per la fornitura di beni e di servizi.
La preoccupazioni connesse all'incapacità del SSN di assorbire ulteriori tagli del proprio finanziamento sono state, del resto, espresse anche dalle Commissioni riunite V e XII della Camera dei Deputati, le quali - nell'ambito del documento finale approvato all'esito dell'Indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica del 4 giugno 2014 - hanno evidenziato che «negli ultimi anni alla riduzione delle risorse destinate al Fondo sanitario nazionale si è sommata la riduzione di quelle per le politiche socio assistenziali e per le non autosufficienze. Tutto ciò ha fatto emergere la piena consapevolezza che il Servizio Sanitario Nazionale non può sopportare ulteriori definanziamenti, pena l'impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l'equità nell'accesso alle prestazioni socio sanitarie» (enfasi aggiunta) (doc. n. 4).
In termini analoghi, la Corte dei conti, con delibera del 29 dicembre 2014, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali, ha sottolineato la necessità che «futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonchè delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» (enfasi aggiunta) (doc. n. 5).
Le preoccupazioni evidenziate e i profili d'incostituzionalità prospettati risultano, d'altro canto, implicitamente ma univocamente confermati anche dal tenore del comma 2 dell'art. 9-septies.
Prima facie, infatti, il comma 2 intende sottrarre a contestazione la disciplina di cui al comma precedente, indicando come cogente l'obiettivo economico-finanziario, vale a dire la riduzione della spesa sanitaria regionale nella misura corrispondente alla prevista rideterminazione del finanziamento, senza tuttavia vincolare le Regioni ad un insieme tassativo e predeterminato di mezzi per conseguire l'obiettivo medesimo, ciò che, secondo una giurisprudenza costituzionale costante, non sarebbe legittimo (ex plurimis, sent. n. 193/2012, nella quale si chiarisce che "possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost, le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)"); sent. n. 79 del 2014, che rinvia alle precedenti sentt. n. 287 del 2013 e n. 169 del 2007).
Nondimeno, le misure di cui agli articoli da 9-bis a 9-sexies richiamati, si presentano a loro volta come obbligatorie, configurandole il legislatore statale come principi di coordinamento della finanza pubblica o riportandole al secondo comma dell'art. 117, Cost. in assenza peraltro delle necessarie specificazioni.
Il reale significato dell'impugnato comma 2 dell'art. 9-septies - laddove prevede che le Regioni e le Province autonome, «al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, possono comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario di cui al comma 1 anche adottando misure alternative, purchè assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario» - appare, quindi, e piuttosto, un altro.
Si tratta di un'impropria (quanto insufficiente) forma di cautela, da parte del legislatore statale, connessa alla grave incertezza, se non all'inadeguatezza, delle previsioni di «razionalizzazione ed efficientamento» sotto il profilo della loro effettiva idoneità a conseguire i risparmi necessari a giustificare la rideterminazione del finanziamento del fondo sanitario nazionale.
Una cautela che, peraltro manifestamente, si riflette nella preoccupazione per la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, per tacere dell'incongruità del comma 2, laddove premette che la disciplina in esso contenuta viene introdotta «al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza», quasi si trattasse di un aspetto meramente accessorio rispetto alla previsione della rideterminazione del livello di finanziamento, disposta rinviando ad un secondo momento la predisposizione, a livello regionale, delle misure necessarie per assicurare i LEA, in conformità agli artt. 32, 117, secondo comma, lettera m), e 119, specialmente quarto comma, Cost.
Quanto precede mette in luce il contenuto lesivo dell'intera disciplina che, nella sostanza, dispone un taglio secco e lineare del finanziamento solo apparentemente compensato da risparmi attendibili e certi, scaricando sulle Regioni la responsabilità per la garanzia dei LEA ipotizzando «misure alternative», ma in realtà, aggiuntive, per conseguire - «a tutti i costi», è il caso di dire, e anche in caso di dimostrata inadeguatezza degli strumenti di cui agli articolo da 9-bis a 9-sexies - l'obiettivo economico-finanziario (misure aggiuntive in ipotesi anche particolarmente onerose per le collettività regionali: dal ridimensionamento inevitabile delle prestazioni sotto il profilo quantitativo e/o qualitativo, all'aumento della compartecipazione degli assicurati alla spesa sanitaria e farmaceutica, all'incremento dell'addizionale regionale all'IRPEF).
Nei termini dinanzi descritti, il taglio dei finanziamenti del sistema sanitario previsto dalla disposizione censurata si pone, dunque, in aperto contrasto con la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte secondo cui «i provvedimenti finanziari adottati dallo Stato allo scopo di razionalizzare e contenere la spesa nel settore pubblico allargato, pur dovendo avere un carattere di assoluta generalità e lo scopo di porre un freno al dilagare di tale spesa - anche mediante la fissazione di criteri d'ordine generale, appunto costituenti espressione di principi fondamentali della materia, che lasciano, in sede applicativa, specifici ambiti di autonomia alle Regioni e agli enti locali minori - non possono, tuttavia, prescindere dalla individuazione certa delle fonti di finanziamento delle spese degli enti locali territoriali e dunque anche delle comunità montane e dei comuni che di esse fanno parte. Diversamente ne verrebbe compromessa la certezza sia delle fonti di finanziamento della spesa degli enti interessati, sia delle risorse economiche effettivamente disponibili per di enti stessi, da impiegare per il raggiungimento delle rispettive finalità istituzionali» (enfasi aggiunta) (sent. n. 326 del 2010).
L'affermazione secondo cui la Costituzione garantisce alle Regioni il «diritto di disporre di risorse finanziarie che risultino complessivamente non inadeguate rispetto ai compiti loro attribuiti» (sent. n. 507/2000) è, del resto, costante nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., in tal senso, sent. nn. 222 del 1994, 138 del 1999, 208 del 2001, 437 del 2001, 29 del 2004 e 381 del 2004).
Ulteriormente lesivo dei parametri costituzionali rubricati (e, in particolare, del principio di ragionevolezza e di leale cooperazione, oltre che del diritto alla salute) è la circostanza che il legislatore, nel disporre il taglio in contestazione, si sia totalmente disinteressato della necessità di assicurare, in ogni caso, il «rispetto dei livelli essenziali di assistenza», sebbene la necessità di rispettare siffatti livelli fosse stata fatta espressamente salva dall'art. 1, comma 398, della legge n. 190/2014, ovvero la disposizione (richiamata anche nelle intese raggiunte in sede di conferenza Stato-Regioni) che, nel modificare l'art. 46 del d.l. n. 66/2014, ha fissato l'obiettivo in vista del cui perseguimento l'art. 9-septies del d.l. n. 78 del 2015 ha operato il taglio censurato.
Non consta, infatti, che, nell'introdurre il taglio disposto dall'art. 9-septies, comma 1, del d.l. n. 78 del 2015, il legislatore abbia compiuto qualsivoglia verifica (il cui esito non avrebbe, del resto, che potuto essere negativo per le ragioni che si sono considerate sopra) circa la possibilità per le regioni di rispettare i predetti livelli essenziali di assistenza all'esito del taglio operato, tanto più che - secondo quanto evidenziato - il rispetto di tali livelli di assistenza è stato genericamente posto a carico delle Regioni, nella piena consapevolezza, evidentemente, dell'inidoneità delle misure previste dagli artt. 9-bis - 9-sexies del d.1. n. 78 del 2915 alla compensazione del taglio operato.
Ne consegue la contrarietà della disposizione impugnata rispetto ai parametri costituzionali di cui in rubrica e la sua conseguente illegittimità.
II. Illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, secondo e terzo comma, 118, 119, 120 Cost. e del principio di leale collaborazione sotto il profilo della lesione dell'autonomia finanziaria della ricorrente per violazione del principio di temporaneità nella disciplina statale di coordinamento della finanza pubblica e di contenimento della spesa regionale.
Le disposizioni impugnate introducono una misura di riduzione del finanziamento del SSN stabilita una volta per tutte e senza limite di tempo «a decorrere dal 2015».
Nella già citata sent. n. 193/2012, si chiarisce che, in materia di coordinamento della finanza pubblica, «l'estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive» fa venir meno una delle fondamentali condizioni di legittimità dell'intervento statale, segnatamente «quella della temporaneità delle restrizioni». La richiamata pronuncia non esclude la possibilità di «dedurre dalla trama normativa censurata un termine finale che consenta di assicurare la natura transitoria delle misure previste e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all'anno finanziario in corso».
Ma la disciplina impugnata non consente di reperire un termine finale, nè di essere interpretata alla stregua di una disciplina transitoria.
I principi richiamati sono stati, poi, ripresi dalla successiva sent. n. 79/2014, nella quale si ribadisce che «questa Corte ha ripetutamente affermato che è consentito al legislatore statale imporre limiti alla spesa di enti pubblici regionali, che si configurano quali principi di «coordinamento della finanza pubblica», anche nel caso in cui gli «obiettivi di riequilibrio della medesima» tocchino singole voci di spesa a condizione che: tali obiettivi consistano in un «contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente», in quanto dette voci corrispondano ad un "importante aggregato della spesa di parte corrente», come nel caso delle spese per il personale (sentenze n. 287 del 2013 e n. 169 del 2007); il citato contenimento sia comunque «transitorio», in quanto necessario a fronteggiare una situazione contingente, e non siano previsti «in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenze n. 23 e n. 22 del 2014; n. 236, n. 229 e n. 205 del 2013; n. 193 del 2012; n. 169 del 2007)".
Nel caso di specie, la sent. n. 79/2014 non ha ritenuto soddisfatta dalla disciplina denunciata la "condizione della necessaria «transitorietà» delle misure restrittive (fra le tante, sentenze n. 256, n. 229 e n. 205 del 2013), nella parte in cui stabilisce che dette misure, che si impongono all'autonomia di spesa ed organizzativa della Regione, sono adottate non per un periodo limitato, per fronteggiare una situazione contingente, ma a tempo indeterminato, disponendo l'adozione del decreto ministeriale «entro il 15 febbraio di ciascun anno»" (enfasi aggiunta).
Sotto il profilo in esame, peraltro, l'art. 9-septies oltre a risultare incompatibile con i principi precisati dalla giurisprudenza costituzionale, appare affetto da profili di irrazionalità, in riferimento anche all'art. 3 Cost., posto che la stessa riduzione sembra destinata ad essere applicata anche alle annualità successive al 2016, per le quali il livello del finanziamento del SSN non è ancora stato fissato.
Infatti, come si è visto sopra, l'art. 1, comma 556, della legge n. 190/2014 stabilisce che «il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato è stabilito in 112.062.000.000 euro per l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016» («salve eventuali rideterminazioni in attuazione dell'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, come modificato dal comma 398 del presente articolo, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, del Patto per la salute»).
Quanto precede dovrebbe indurre ad interpretare in modo conforme a Costituzione l'art. 9-septies nella parte in cui include la locuzione «a decorrere dal 2015», quanto meno sotto il profilo dell'intellegibilità dal punto di vista matematico, posto che non si comprende come possa razionalmente ipotizzarsi una riduzione in misura fissa (2.352 milioni di euro) di una grandezza (il livello del finanziamento del SSN a cui concorre lo Stato) non ancora stabilita, nè conoscibile, per quanto concerne gli anni successivi al 2016.
La teorica possibilità di un'interpretazione conforme a Costituzione non rende, tuttavia, inammissibile un ricorso in via principale, secondo la costante giurisprudenza (ex plurimis, sentt. n. 249 del 2005, n. 289 del 2008, 62 e 188 del 2012).
Al contrario, esigenze di garanzia e certezza del riparto costituzionale delle competenze legislative impongono di sottoporre a codesta ecc.ma Corte le decisioni impugnate anche sotto questo secondo profilo.
Nè può ipotizzarsi un'eccezionale deroga ai principi costituzionali in tema di autonomia finanziaria regionale e di riparto intersoggettivo delle competenze in considerazione delle difficoltà congiunturali, posto che «il principio salus rei publicae lex esto non può essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo Stato, pertanto, deve affrontare l'emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall'ordinamento costituzionale» (sentt. n. 151 del 2012 e n. 89 del 2014).
Anche sotto il profilo in esame, appare, pertanto, evidente l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
III. Illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125 per violazione degli artt. 3, 117, 119, 120 Cost. e del principio di leale collaborazione, in relazione alla legge n. 42 del 2009, al d.lgs. n. 68/2011 e al Patto per la salute 2014-2016.
La disciplina legislativa denunciata si pone in contrasto con i parametri costituzionali invocati anche in relazione alla legge n. 42 del 2009 (spec. artt. 2, comma 6, e 8) e al d.lgs. n. 68 del 2011, che, agli articoli da 25 a 30, individua quale criterio fondamentale per la razionalizzazione e il contenimento della spesa sanitaria, oltre che di riparto del fondo sanitario nazionale, quello dei costi e dei fabbisogni standard.
E' noto, infatti, che - in base alla normativa testè richiamata - il finanziamento del sistema sanitario deve essere assicurato sulla base dei costi e dei fabbisogni standard, i quali sono, a loro volta, calcolati nella prospettiva di assicurare il conseguimento dei livelli essenziali di assistenza.
Rispetto a tale sistema, la previsione di un taglio lineare quale quello disposto dalla disposizione censurata è assolutamente irragionevole, in quanto - secondo quanto evidenziato nell'ambito del primo motivo di ricorso - prescinde completamente non soltanto dalla considerazione dell'adeguatezza delle risorse rispetto al conseguimento dei citati obiettivi, ma anche dalle regole di finanziamento adottate in attuazione dell'art. 119 Cost.
In altri termini, mentre i livelli essenziali da assicurare restano invariati - tanto più in considerazione del mancato aggiornamento degli stessi rispetto ai LEA a suo tempo introdotti nel contesto di congiunture economiche maggiormente favorevoli (1) - per effetto del censurato taglio, le regioni vedono drasticamente diminuite le risorse disponibili per il loro perseguimento.
Tale intervento inserisce, in tal modo, un elemento di intrinseca irragionevolezza del sistema di finanziamento del SSN, allontanandosi dal percorso tracciato dalla Costituzione e dalle disposizioni di questa attuative per inseguire unicamente contingenti logiche di risparmio.
Basti pensare, a tale riguardo, che - secondo quanto evidenziato dal Servizio Studi del Senato con riferimento al Disegno di legge A.S. 1117-A, Dossier n. 90-Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 Cost. - "la quantificazione del «costo standard» può essere considerata il primum movens rispetto a gran parte della catena del finanziamento", atteso che "esso quantifica la spesa per i LEP, che quantificano l'intervento perequativo" (doc. n. 6).
Sotto il profilo della violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione, si evidenzia, inoltre, che nel Patto per la salute 2014-2016 si sottolinea all'art. 1, comma 2, "la necessità di rivedere e riqualificare i criteri di cui all'art. 27 del d.lgs. n. 68/2011 sulla «determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali»", oggetto del richiamato accordo politico in data 19 dicembre 2013, e si afferma che "la revisione dei criteri non può mettere in discussione il principio dei costi standard".
Al successivo comma 3, si prevede che "nell'ambito delle disponibilità di cui al comma 1, con DPCM adottato, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, si provvede, entro il 31 dicembre 2014, all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, in attuazione dei principi di equità, innovazione ed appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica": aggiornamento, come è noto, non ancora avvenuto.
Di fondamentale rilievo è quanto convenuto al comma 4, dove si legge che "i risparmi derivanti dall'applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole regioni per finalità sanitarie ... si conviene altresì che eventuali risparmi nella gestione del servizio sanitario nazionale effettuati dalle regioni rimangano nella disponibilità delle regioni stesse per finalità sanitarie".
La disciplina contenuta nell'art. 9-septies impugnato è improntata ad una logica del tutto differente, che prescinde totalmente dal percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard sanitari per riproporre un modello di mero taglio lineare di finanziamento del SSN. Come affermato nella sent. n. 273 del 2013 (seppure con riferimento al finanziamento del trasporto pubblico locale) "il mancato completamento della transizione ai costi e fabbisogni standard, funzionale ad assicurare gli obiettivi di servizio e il sistema di perequazione, non consente, a tutt'oggi, l'integrale applicazione degli strumenti di finanziamento delle funzioni regionali previsti dall'art. 119 della Costituzione".
Il meccanismo legislativo censurato, inoltre, a fronte di risparmi previsti come conseguenza (attesa, o presunta) dell'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli da 9-bis a 9-sexies, prevede, anzichè l'acquisizione delle risorse risparmiate al bilancio della sanità regionale, una (in linea teorica) corrispondente riduzione delle risorse finanziarie destinate al finanziamento del SSN, in evidente violazione del Patto per la salute 2014-2016 e del principio di leale collaborazione.
Donde la violazione dei parametri costituzionali di cui in rubrica e la conseguente illegittimità della disposizione censurata. IV. Illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125, per violazione degli artt. 77, 117, 119, 120 Cost. e del principio di leale collaborazione.
La denunciata lesione dell'autonomia regionale sotto i plurimi profili sopra indicati si accompagna ad una violazione dell'art. 77 Cost., risultando la disciplina impugnata (introdotta con "maxiemendamento" votato a seguito della posizione, da parte del Governo, della questione di fiducia) del tutto eterogenea rispetto al contenuto originario del decreto-legge n. 78 del 2015, cosicchè appare evidente il "difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione" (Corte cost., sent. n. 32 del 2014; sul caso di "evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di convenzione e quelle dell'originario decreto-legge" si sono pronunciate anche le sentenze n. 154 e n. 145 del 2015, n. 251 del 2014, a partire dalla sentenza n. 22 del 2012).
E' sintomatica del grave problema appena evidenziato la circostanza che, in sede di conversione, sia stato modificato il titolo del decreto-legge oggetto di conversione, che in precedenza era il seguente «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali». Alla fine dell'Allegato alla legge di conversione, infatti, si stabilisce che "al titolo del decreto-legge sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonchè norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali»".
Tale modifica non può, peraltro, certo sottrarre la disciplina impugnata (e, sebbene ai presenti fini non interessi, le altre disposizioni in materia sanitaria) alle censure che, in ogni caso, s'impongono alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di legittimità della legge di conversione (specialmente le sentenze n. 32 del 2014 e n. 22 del 2012).
In particolare, occorre ricordare quanto codesta ecc.ma Corte ha affermato nella richiamata sentenza n. 32 del 2014, della quale mette conto riportare per esteso alcuni passaggi, concernenti le condizioni di legittimità della legge di conversione: "Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge. La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, come del resto prescrivono anche i regolamento parlamentari (art. 96-bis del Regolamento della Camera dei Deputati e art. 97 del Regolamento del Senato della Repubblica, come interpretato dalla Giunta per il regolamento con il parere dell'8 novembre 1984). Diversamente, l'iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare. Pertanto, l'inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto-legge, o alle finalità di quest'ultimo, determina un vizio della legge di conversione in parte qua.
E' bene sottolineare che la richiesta coerenza tra il decreto-legge e la legge di conversione non esclude, in linea generale, che le Camere possano apportare emendamenti al testo del decreto-legge, per modificare la normativa in esso contenuta, in base alle valutazioni emerse nel dibattito parlamentare; essa vale soltanto a scongiurare l'uso improprio di tale potere, che si verifica ogniqualvolta sotto la veste formale di un emendamento si introduca un disegno di legge che tenda a immettere nell'ordinamento una disciplina estranea, interrompendo il legame essenziale tra decreto-legge e legge di conversione, presupposto dalla sequenza delineata dall'art. 77, secondo comma, Cost."
Nella sent. n. 32 del 2014 si precisa, inoltre, che "ciò vale anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo, come quello di specie. In relazione a questa tipologia di atti - che di per sè non sono esenti da problemi rispetto al requisito dell'omogeneità (sentenza n. 22 del 2012) - ogni ulteriore disposizione introdotta in sede di conversione deve essere strettamente collegata ad uno dei contenuti già disciplinati dal decreto-legge ovvero alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso.
Nell'ipotesi in cui la legge di conversione spezzi la suddetta connessione, si determina un vizio di procedura, mentre resta ovviamente salva la possibilità che la materia regolata dagli emendamenti estranei al decreto-legge formi oggetto di un separato disegno di legge, da discutersi secondo le ordinarie modalità previste dall'art. 72 Cost.
L'eterogeneità delle disposizioni aggiunte in sede di conversione determina, dunque, un vizio procedurale delle stesse, che come ogni altro vizio della legge spetta solo a questa Corte accertare. Si tratta di un vizio procedurale peculiare, che per sua stessa natura può essere evidenziato solamente attraverso un esame del contenuto sostanziale delle singole disposizioni aggiunte in sede parlamentare, posto a raffronto con l'originario decreto-legge. All'esito di tale esame, le eventuali disposizioni intruse risulteranno affette da vizio di formazione, per violazione dell'art. 77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte le componenti dell'atto che si pongano in linea di continuità sostanziale, per materia o per finalità, con l'originario decreto-legge".
Nella sent. n. 154 del 2015, si ribadisce che "l'innesto, nell'iter di conversione dell'ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, considerando, tuttavia, che la legge di conversione è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario. Essa non può quindi aprirsi a qualsiasi contenuto, come del resto prescrive, in particolare, l'art. 96-bis del regolamento della Camera dei deputati. A pena di essere utilizzate per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al contenuto già disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti governativi a contenuto plurimo, alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso (sentenza n. 32 del 2014)".
Nel caso di specie, occorre osservare che la previsione di un taglio lineare alla spesa sanitaria risulta del tutto eterogeneo e privo di collegamento rispetto alle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 78 del 2015, sicchè appare palese la violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza dinanzi richiamata.
La ridondanza dell'evidenziata violazione dell'art. 77 Cost. sulla sfera di attribuzioni costituzionali della ricorrente appare in re ipsa, trattandosi di un "maxiemendamento" diretto, come si è visto con riguardo all'art. 9-septies, ad incidere con effetto immediato e a tempo indeterminato sull'autonomia finanziaria e sulle competenze in materia di tutela della salute e organizzazione sanitaria della Regione Liguria.
V. Illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125, per violazione degli artt. 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.
Come evidenziato in precedenza, l'art. 9-septies del d.l. n. 78/2015 determina un taglio "lineare" del concorso dello Stato al finanziamento del SSN per un importo pari ad euro 2.352 milioni di euro "a decorrere dal 2015".
E' evidente che, in tal modo, la disposizione censurata - inserita con legge di conversione 6 agosto 2015, n. 125 - incide retroattivamente sugli impegni di spesa già assunti dalla regione Liguria in relazione al corrente anno, producendo, altresì, un'irragionevole alterazione della programmazione di spesa già operata.
Rileva ricordare, a tale riguardo, che - secondo quanto evidenziato anche nell'ambito del primo motivo di ricorso - la disposizione censurata interviene in una fase particolarmente avanzata della programmazione e pianificazione sanitaria (l'art. 9-septies è stato, infatti, inserito, come ricordato, in sede di legge di conversione nel mese di agosto del corrente anno), andando a sottrarre importi che erano stati già oggetto di impegno da parte della regione Liguria, la quale, per effetto, della previsione censurata, si vedrà costretta ad introdurre svariati correttivi in corso di annualità, al fine di allineare (rectius, tentare di allineare) la programmazione della spesa sanitaria per l'anno corrente alla contestata riduzione retroattiva del finanziamento statale.
Sotto il profilo in considerazione, appare significativo evidenziare come la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte abbia già avuto occasione di pronunciare l'illegittimità di misure che, in violazione dei principi di certezza delle entrate e di affidamento delle Regioni, si proponevano di operare tagli di spesa con effetti retroattivi. Si fa segnatamente riferimento alla sentenza n. 326 del 2010, con cui codesta ecc.ma Corte ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 187, della legge n. 191/2009 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria), sottolineando come la disposizione censurata - nel non prevedere alcuna indicazione in ordine al finanziamento dei mutui ancora in essere, stipulati dalle comunità montane con il concorso dello Stato - "palesa una irragionevolezza che si riverbera sulla autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali come ridisegnata dall'art. 119 Cost. e come operante nelle more dell'attuazione del c.d. federalismo fiscale, lasciando privo di copertura finanziaria, e comunque, di una regolamentazione sia pure transitoria, un settore di rilievo, qual è quello degli investimenti strutturali a medio e lungo termine effettuati mediante la stipulazione di mutui originariamente «garantiti» dal finanziamento statale" (enfasi aggiunta).
Mette, altresì, conto ricordare che, a contrario, codesta ecc.ma Corte ha escluso l'illegittimità dell'art. 1, comma 565, della legge n. 296/2006, evidenziando come le previsioni censurate, "disponendo solo per l'avvenire e non ponendo per il passato vincoli più gravosi di quelli già posti dalla legislazione previgente, hanno espressamente escluso ogni interferenza delle precedenti previsioni con quella censurata" (enfasi aggiunta) (sent. n. 120/2008).
La disposizione censurata, in considerazione di quanto precede, si pone, dunque, in aperto contrasto con i parametri costituzionali di cui in rubrica, nella misura in cui produce una lesione del principio di affidamento delle Regioni e del principio di proporzionalità (artt. 3 e 97 Cost.), incide illegittimamente sulle competenze legislative e amministrative delle Regioni in materia di sanità (artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost.), compromettendo, altresì, irragionevolmente l'autonomia finanziaria riconosciuta alle Regioni dall'art. 119 Cost.
VI. Illegittimità costituzionale dell'art. 9-septies del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125, in relazione all'art. 1, comma 398, lett. c), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 per violazione dell'art. 119 della Costituzione. Il citato art. 1, comma 398, lett. c), della legge n. 190/2014 ha modificato l'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66/2014, inserendovi la previsione secondo cui "per gli anni 2015-2018 il contributo delle regioni a statuto ordinario, di cui al primo periodo, è incrementato di 3.452 milioni di euro annui in ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento delle regioni da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015. A seguito della predetta intesa sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. In assenza di tale intesa entro il predetto termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto previsto al secondo periodo, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale".
In tale ultimo caso, dunque (assenza di intesa entro il termine del 31 gennaio 2015) gli importi in questione - giusta il disposto del richiamato secondo periodo dell'art. 46, comma 6 - devono essere "assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente" e, in siffatta ipotesi, il taglio comprende anche la spesa sanitaria.
Tale previsione - i cui effetti sull'autonomia finanziaria e l'esercizio delle competenze regionali si concretizzano a seguito dell'introduzione delle disposizioni censurate nella presente sede - risulta illegittima ed irragionevole per violazione dei parametri di cui in rubrica.
Il criterio prefigurato dall'art. 1, comma 398, legge n. 190/2014 per il riparto del taglio in questione ("tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente") realizza, infatti, un effetto perequativo implicito sulla scorta di un criterio che non trova alcuna copertura costituzionale nell'ambito dell'art. 119 Cost.
Sotto il profilo in considerazione, il riparto del taglio disposto dalla disposizione censurata si pone, dunque, in aperto contrasto con i principi affermati nella sentenza n. 79 del 2014, ove codesta ecc.ma Corte ha pronunciato l'illegittimità costituzionale di una disposizione che commisurava la riduzione del finanziamento statale "«in misura proporzionale», fra l'altro, anche alle spese sostenute per i consumi intermedi", ritenendo che un siffatto criterio realizzasse "un effetto perequativo implicito, ma evidente, che discende dal collegare la riduzione dei trasferimenti statali all'ammontare delle spese per i consumi intermedi, intese quali manifestazioni, pur indirette di ricchezza delle Regioni", in violazione della costante giurisprudenza secondo cui "gli interventi statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire le modalità fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica, che non possono che essere uniformi (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del 2009)" e "la perequazione degli squilibri economici in ambito regionale deve rispettare le modalità previste dalla Costituzione, di modo che il loro impatto sui conti consolidati delle amministrazioni pubbliche possa essere fronteggiato ed eventualmente redistribuito attraverso la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti dal vigente ordinamento finanziario e contabile (sentenza n. 176 del 2012)" (sent. n. 79 del 2014).
Nel caso di specie, il criterio di riparto del taglio disposto dalle disposizioni censurate (Pil e popolazione residente) è effettivamente diverso da quello censurato dalla pronuncia dinanzi richiamata (consumi intermedi), ma, sotto il profilo sostanziale, produce il medesimo effetto perequativo in violazione dei criteri previsti dall'art. 119 Cost., che fa, invece, riferimento alla "minore capacità fiscale per abitante".
E', infatti, noto che PIL e capacità fiscale sono due grandezze distinte e non immediatamente comparabili, tenuto conto che la prima misura il valore dei beni e dei servizi prodotti, mentre la seconda il gettito delle imposte, sicchè tra i due valori vi può essere una relazione ma non già piena coincidenza.
Si insiste, pertanto, affinchè codesta ecc.ma Corte voglia pronunciare l'illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate per violazione del parametro costituzionale di cui in rubrica.
(1) E' utile ricordare, a tale riguardo, che la determinazione dei livelli essenziali di assistenza risale al D.P.C.M. 29.11.2001, successivamente modificato con D.P.C.M. 5.3.2007, senza che l'aggiornamento previsto entro il 31.12.2012 dall'art. 5 del D.L. n. 158/2012 sia mai stato introdotto.