Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Contro la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, per la declaratoria di incostituzionalità degli artt. 1, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia n. 45 del 23 dicembre 2008, pubblicata nel B.U.R. n. 202 del 29 dicembre 2008, avente ad oggetto le «Norme in materia sanitaria», in relazione all'art. 3, 41, 97, 117, commi primo, secondo, lett. m), s) e p), e terzo Cost.
La legge della Regione Puglia n. 45 del 29 dicembre 2008 ha introdotto nuove disposizioni nella materia sanitaria.
1) L'art. 1, comma 1, che ha integrato le previsioni di cui all'art. 3, comma 40, della legge regionale n. 40 del 2007, dispone che il personale medico, assunto a tempo determinato, che svolge servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza delle aziende sanitarie, possa accedere alle procedure di stabilizzazione (se in possesso di determinati requisiti) senza l'utilizzazione delle procedure selettive previste dal d.P.R. n. 483 del 1997 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale).
Tale norma sembra eccedere le competenze regionali sotto vari profili.
Attesa l'indeterminatezza dell'ambito precettivo della disposizione in esame, la medesima si pone innanzitutto in contrasto con il comma 94 dell'art. 3, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) che esclude l'applicabilità delle procedure di stabilizzazione per il personale dirigente.
Stante che la citata normativa statale costituisce norma di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la disposizione regionale in esame contrasta con l'art. 117, terzo comma, Cost.
L'accesso alle procedure di stabilizzazione, anche nell'ambito della dirigenza sanitaria, viene inoltre disposto «in deroga a quanto previsto dal d.P.R. n. 483/1997» e quindi senza il necessario filtro del concorso pubblico per titoli ed esami previsto dall'art. 15, comma 7 del d.lgs. n. 502/1992, che pure costituisce, per espressa volontà del Legislatore (art. 19 d.lgs n. 502/1992) normativa di principio in materia di tutela della salute (ai fini dell'art. 117, terzo comma, Cost.).
L'art. 1 della l.r. n. 45/2008 viola altresì i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonchè il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.
A tale proposito si rammenta che codesta Corte costituzionale ha recentemente ribadito (sent. n. 81/2006) che «il principio del pubblico concorso costituisce la regola per l'accesso all'impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, da rispettare allo scopo di assicurare la loro imparzialità ed efficienza. Tale principio si è consolidato nel senso che le eventuali deroghe possano essere giustificate solo da peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico» (si vedano in argomento anche le sentenze n. 159 del 2005, n. 205 e n. 34 del 2004).
Nella richiamata decisione la Corte ha altresì escluso che tali peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico possano essere ravvisate nella personale aspettativa degli aspiranti, pur già legati da rapporto d'impiego con la pubblica amministrazione.
2) L'art. 3 della l.r. n. 45/2008, laddove esclude dal regime dell'autorizzazione, previsto dall'art. 5 della legge regionale n. 8 del 2004, tutti gli studi medici privati e gli studi odontoiatrici non aperti al pubblico, sembra eccedere dalla competenza regionale concorrente attribuita alla regione in materia di tutela della salute dall'art. 117, terzo comma, Cost. e sembra porsi altresì in contrasto con i principi contenuto negli articoli 3 e 41 Cost.
Tale disposizione si pone in particolare in contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute espresso dagli articoli 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502/1992, secondo i quali tutti gli studi medici e odontoiatrici, per la peculiarità dell'attività posta in essere e comunque laddove debbano essere erogate «prestazioni di chirurgia ambulatoriale o procedure diagnostiche di particolare complessità che comportino un rischio per la sicurezza del paziente», devono essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997, che è stato emanato d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, e le province autonome.
Il rispetto di tali prescrizioni è infatti indispensabile per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l'idoneità e la sicurezza delle cure.
Rispetto a tale aspetto la previsione normativa censurata introduce invece pericolosi elementi di confusione.
3) L'art. 4, prevedendo che «I dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato presso gli uffici a staff della direzione generale funzionalmente dipendenti dalle direzioni sanitarie delle aziende sanitarie locali (ASL), delle aziende ospedaliero-universitarie e degli IRCCS pubblici ovvero in servizio presso le direzioni sanitarie di presidio ospedaliero da almeno tre anni, alla data di entrata in vigore della presente legge sono inquadrati, a domanda, nelle direzioni sanitarie con la disciplina "Direzione medica di presidio ospedaliero"», eccede dalla competenza regionale concorrente attribuita alla regione, in materia di tutela della salute dall'art. 117, terzo comma, Cost.
In particolare tale disposizione regionale, che prevede genericamente l'inquadramento nelle direzioni sanitarie di dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali senza alcuna specificazione circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie, e circa i requisiti necessari per l'inquadramento (come il fatto di prestare servizio da un determinato numero di anni, e di essere in servizio da una determinata data), viola il principio generale in materia di tutela della salute di cui dall'art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992, come specificato dall'articolo 24 del d.P.R. n. 483/1997, e dall'art. 13 del ccnl per la dirigenza medica e veterinaria dell'8 giugno 2000, dai quali si evince che l'inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.
La previsione regionale in esame viola altresì il principio di uguaglianza e di parità di trattamento sia nei confronti degli operatori, differenziando i medici destinatari della disposizione in esame rispetto agli altri medici della stessa e delle altre regioni, sia nei confronti dei cittadini pugliesi che, diversamente dagli altri cittadini italiani, non hanno la sicurezza di poter essere curati dai medici specializzati nella disciplina richiesta.
Da ciò consegue la violazione dei principi di eguaglianza e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nonchè dei livelli essenziali di assistenza previsti dall'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
4) L'art. 13 dispone che «i componenti, a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per 1'accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge quadro per 1'assistenza, 1'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sono incompatibili con tali funzioni qualora detengano cariche elettive politiche o si candidino per conseguirle».
La norma in questione appare illegittima nella parte in cui, con l'utilizzo dell'espressione onnicomprensiva «cariche elettive politiche», include fra i propri destinatari anche i parlamentari nazionali, nonchè le cariche elettive degli enti locali territoriali.
Infatti, pur avendo la regione potestà legislativa in ordine alla disciplina dei citati comitati, viene in rilievo la disposizione dell'art. 65 Cost., che attribuisce al solo Legislatore statale la competenza a legiferare in materia di incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali.
Relativamente poi alle cariche elettive negli enti territoriali locali la suddetta norma regionale invade la competenza esclusiva dello Stato nella materia «organi di governo» di comuni, province e città metropolitane prevista dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.
In tal senso si è espressa codesta Corte costituzionale con la sentenza n. 29 del 2006.
In particolare per quanto attiene all'ineleggibilità e all'incompatibilità tra gli incarichi previsti dalla norma regionale e la carica di parlamentare la fattispecie contemplata da tale norma è analoga a quella sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi codesta Corte costituzionale con sentenza n. 456/2005, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 16, comma 1, secondo periodo della legge della Regione Puglia n. 20/2004, nella parte in cui prevedeva che «la carica di presidente dell'organo esecutivo delle comunità montane è incompatibile con quella di parlamentare». Codesto giudice ha statuito in particolare che «l'art. 65 della Costituzione - stabilendo che la legge determina i casi di ineleggibilità ed incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore - pone una precisa riserva di legge statale e che, quindi, è precluso al legislatore regionale, anche se fornito nel caso di specie, di potestà legislativa residuale di determinare le cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) con l'ufficio di deputato o di senatore (sentenze n. 127 del 1987 e n. 60 del 1966)», ribadendo espressamente come non sia «consentito che una fonte diversa da quella statale possa vietare il cumulo di due cariche, delle quali una sia quella di membro del Parlamento».
La richiamata disposizione regionale viola pertanto l'art. 65 Cost., ed incide sulla competenza esclusiva statale in materia di legislazione elettorale prevista dall'art. 117, secondo comma, lett. p), e in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. m).
5) L'art. 18 della legge regionale in esame, che prevede 1'inquadramento nel ruolo della dirigenza sanitaria non medica degli «educatori professionali» in servizio presso le Asl della Regione Puglia (inquadrati nella categoria DS del ccnl del Comparto sanità) eccede dalla competenza legislativa concorrente attribuita alla regione in materia di tutela della salute dall'art. 117, terzo comma, Cost., e viola altresì i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonchè il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.
In particolare tale disposizione, che prevede il passaggio di personale dal comparto sanità alla dirigenza senza rispettare il requisito del pubblico concorso per titoli ed esami, si pone in contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all'art. 6 della legge n. 251 del 2000 (concernente la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica), specificato con d.P.R. del lo dicembre 1997, n. 483, che nello stabilire la procedura per l'accesso alla dirigenza per i profili professionali del comparto, prevede la procedura concorsuale «alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l'accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale». Tale ultima disposizione statale fa sì che in relazione alla disposizione regionale in esame possano muoversi, oltre a quelli ora formulati, i medesimi rilievi di illegittimità costituzionale già svolti al punto 1).
Per tali motivi si ritiene che le disposizioni censurate debbano essere impugnate dinanzi alla Corte costituzionale.