(Corte costituzionale - 63 - 6/16 febbraio 2006)
1. - La Regione Toscana, con ricorso notificato il 19 marzo 2003 e depositato il 25 marzo 2003, chiede che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 51, comma 7, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, in quanto disciplina il procedimento di accertamento delle infrazioni al divieto di fumo in locali chiusi aperti al pubblico, che costituirebbe normativa di attuazione dei principi fissati dalle leggi statali, e quindi sarebbe riservata alla potestà legislativa regionale.
La norma impugnata interferirebbe altresì, secondo la ricorrente, con l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa regionale, materia rientrante nella potestà legislativa residuale delle Regioni.
Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio ed ha eccepito che la natura di principio fondamentale del divieto di fumo nei locali chiusi aperti al pubblico, riconosciuto dalla stessa Regione Toscana nella premessa del ricorso, imporrebbe l'uniformità del procedimento sanzionatorio. La norma impugnata sarebbe comunque rispettosa della potestà legislativa regionale, poichè stabilisce che la ridefinizione del procedimento sanzionatorio avvenga tramite accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, e quindi previo consenso delle Regioni stesse.
2. - La questione non è fondata.
2.1. - Questa Corte, con riferimento alle norme che prevedono alcune fattispecie di illecito amministrativo nella materia «tutela della salute», ha precisato che «stante la loro finalità di protezione di un bene, quale la salute della persona, ugualmente pregiudicato dall'esposizione al fumo passivo su tutto il territorio della Repubblica», il legislatore statale, cui è riconosciuto il potere di prevedere le fattispecie da sanzionare, deve avere anche quello di determinare le sanzioni per il caso di violazione dei divieti e degli obblighi stabiliti (sentenza n. 361 del 2003).
La natura di principio fondamentale del divieto di fumo, e la correlativa competenza statale ad individuare sia le fattispecie di illecito amministrativo sia la misura delle sanzioni corrispondenti, si riflettono inevitabilmente sulla disciplina del procedimento volto ad accertare in concreto le trasgressioni e ad irrogare le sanzioni medesime. E' di tutta evidenza, infatti, che la stessa imprescindibile esigenza di uniformità, che vale a qualificare come principi fondamentali le norme individuatrici delle fattispecie di illecito e le relative sanzioni, è sottesa anche alla regolamentazione del procedimento finalizzato alla loro applicazione.
Se è vero, come rileva la difesa regionale, che in tema di divieto di fumo si versa nella materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente, è altrettanto vero che la determinazione della qualità e della misura delle sanzioni inerisce - secondo la giurisprudenza sopra citata - a quei principi fondamentali che richiedono uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale. La stretta strumentalità del procedimento di accertamento delle infrazioni e di irrogazione delle sanzioni rispetto alla effettività del divieto di fumo in locali chiusi, posto a tutela di un bene non suscettibile di valutazioni differenziate, determina la necessaria attrazione nella sfera di competenza statale della disciplina delle attività amministrative necessarie allo scopo. Il procedimento in questione non è accessorio ad una potestà legislativa regionale, ma, pur nell'ambito della complessiva materia «tutela della salute», ad un'area di normazione - quella riguardante le sanzioni - di sicura attribuzione allo Stato, come del resto viene riconosciuto dalla stessa ricorrente.
Bisogna ribadire che, così come la prescrizione di sanzioni amministrative non appartiene in via pregiudiziale allo Stato o alle Regioni, ma accede alla specifica competenza legislativa ritenuta, secondo Costituzione, più adatta alla tutela di determinati diritti o interessi (sentenza n. 28 del 1996), allo stesso modo non esiste una materia della vigilanza, ma questa deve essere considerata accessorio naturale della competenza sanzionatoria sia statale che regionale (sentenza n. 384 del 2005). Una intrinseca necessità di coerenza normativa e amministrativa impone che non si determinino fratture sul versante applicativo delle sanzioni di sicura competenza statale. Una regolamentazione differenziata del procedimento finalizzato all'irrogazione delle sanzioni non solo sarebbe fonte di incertezze e complicazioni per le amministrazioni e per i cittadini, ma finirebbe per influire negativamente sulla effettività delle sanzioni medesime, ove le modalità applicative variassero da Regione a Regione. La stessa esigenza di uniformità sottesa alla qualificazione come principi fondamentali di tutte le norme sanzionatorie in materia deve, quindi, presiedere alla disciplina delle attività finalizzate all'applicazione delle sanzioni medesime.
2.2. - Ove si consideri, oltretutto, che il divieto di fumo ricade nella materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., è opportuno e conforme al principio di leale collaborazione che la disciplina del procedimento non sia dettata in modo unilaterale dallo Stato, escludendo del tutto le Regioni. La ratio che determina l'attrazione del procedimento sanzionatorio nella competenza legislativa statale è, infatti, quella dell'uniformità volta a dare alle sanzioni, almeno nella previsione normativa, lo stesso grado di effettività in ogni parte del territorio nazionale. Tale uniformità si concilia con l'interesse costituzionalmente tutelato delle Regioni a far valere, nella predisposizione delle norme legislative, le proprie specifiche esigenze. In questa, come in tante altre ipotesi, giova appunto far riferimento al principio di leale collaborazione, costantemente richiamato da questa Corte, che rende preferibile l'integrazione non conflittuale delle esigenze unitarie con quelle autonomistiche, senza rigide separazioni e contrapposizioni dualistiche.
La norma statale impugnata prevede una delle possibili modalità di conciliazione delle ragioni dell'unità con quelle dell'autonomia. La ridefinizione del procedimento è infatti affidata ad un accordo tra Stato e Regioni, da raggiungersi in sede di Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni e Province autonome. Tale tipo di accordo, che non può modificare l'ordine costituzionale delle competenze, può essere valida soluzione collaborativa in un campo di attività amministrative strettamente accessorio ad una competenza legislativa appartenente allo Stato, in quanto attinente a principi fondamentali, ma iscritto pur sempre nel più vasto ambito della tutela della salute, materia affidata dalla Costituzione alla competenza legislativa concorrente. Si tratta di un caso, tra i tanti, in cui l'intreccio delle competenze legislative e amministrative statali e regionali mal si presta ad essere risolto in termini di drastica scissione.
Risulta, peraltro, che l'accordo in questione è stato stipulato il 16 dicembre 2004.
3. - Da quanto detto sinora discende che non merita accoglimento la ulteriore censura, contenuta nel ricorso della Regione Toscana, riferita alla presunta violazione del quarto comma dell'art. 117 Cost. e basata sulla lamentata interferenza statale nell'ordinamento e nell'organizzazione regionale, di competenza legislativa residuale delle Regioni.
All'esercizio della funzione legislativa corrisponde il dovere delle pubbliche amministrazioni, statali, regionali e locali, di dare applicazione, secondo le proprie competenze, alle norme di legge validamente in vigore. Così come organi dello Stato possono essere chiamati a dare applicazione a leggi regionali, ove queste disciplinino oggetti di loro competenza (sentenza n. 467 del 2005), ugualmente gli organi della Regione devono far rispettare leggi dello Stato, senza che ciò possa essere considerato illegittima interferenza.