Indicazioni integrative alla circolare 30 ottobre 2000, n. 17, recante: «Adeguamento dei livelli di sicurezza trasfusionale in presenza di metodiche atte alle indagini sui costituenti virali per HCV»
Agli assessori alla sanità delle regioni a statuto ordinario e speciale
Agli assessori alla sanità delle province autonome di Trento e Bolzano
e, per conoscenza:
Ai commissari del Governo
La circolare 30 ottobre 2000, n. 17 «Adeguamento dei livelli di sicurezza trasfusionale in presenza di metodiche atte alle indagini sui costituenti virali per HCV», ha demandato al Ministero della sanità e all'Istituto superiore di sanità, nell'ambito dei rispettivi compiti agli stessi attribuiti dalla normativa vigente, la definizione:
dei criteri di autorizzazione dei laboratori;
delle procedure operative della manipolazione dei campioni;
dei criteri di valutazione dei risultati e i relativi algoritmi di interpretazione;
dei pannelli di riferimento e dei controlli interni;
dell'organizzazione del proficiency test interlaboratori,
onde consentire alle regioni e alle province autonome di porre in atto, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente provvedimento, il seguito di loro competenza come previsto dalla circolare indicata in premessa, al fine di assicurare, nell'intero ambito nazionale, anche agli emocomponenti lo stesso livello di sicurezza del plasma destinato alla produzione di emoderivati.
La circolare sopracitata ha inoltre richiamato l'attenzione sulla necessità di una attenta revisione degli attuali schemi organizzativi del sistema trasfusionale, al fine di sostenere l'impatto organizzativo ed economico richiesti dal perseguimento della sempre maggiore sicurezza e qualità in campo trasfusionale.
Al riguardo il decreto ministeriale 1 marzo 2000 (Adozione del progetto relativo al Piano nazionale sangue per il triennio 1999-2001), ha individuato, tra l'altro, nella organizzazione funzionale di tipo dipartimentale dei servizi di medicina trasfusionale la possibilità di garantire la gestione delle attività di servizio e quelle di produzione assicurando livelli omogenei di qualità e sicurezza operativa.
L'esecuzione delle tecniche biologia molecolare, oggi applicate alla rilevazione dell'HCV, e, verosimilmente a breve applicabile alla ricerca di altri virus, quale test di screening di routine sul sangue donato, per la sua complessità, ha reso necessario lo svolgimento di uno studio di fattibilità coordinato dall'Istituto superiore di sanità, ai fini del quale sono state impiegate metodiche che utilizzano principi diversi:
su pool di campioni di dimensioni non superiori a 20;
su singolo campione con contestuale rilevazione dell'RNA e dell'HIV1.
I risultati dello studio hanno confermato la opportunità di procedere ad una centralizzazione della predetta attività, per gli elevati costi della strumentazione, dei kit attualmente disponibili sul mercato e per l'impegno richiesto agli operatori. A tale proposito è opportuno segnalare che nel nostro Paese la maggior parte delle strutture trasfusionali (circa il 75%) non raggiunge la produzione di 10.000 unità per anno.
L'incremento del livello di semplificazione e del grado di automazione delle tecniche NAT potrà consentire in un prossimo futuro una più ampia diffusione di tali metodologie con conseguente riduzione dei costi.
Ciò premesso, tenuto conto dei disposti di cui al decreto ministeriale 26 gennaio 2001, recante "Protocolli per l'accertamento della idoneità del donatore di sangue e di emocomponenti", ed in particolare con riferimento all'art. 11, sulla base anche delle indicazioni fornite dall'Istituto superiore di sanità, di seguito si riporta la definizione dei punti sopracitati.
Criteri di autorizzazione dei laboratori.
Fermo restando il rilascio delle autorizzazioni da parte delle regioni e delle province autonome, dopo aver verificato il possesso dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 e al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 settembre 2000, è opportuno segnalare che per l'esecuzione delle tecniche NAT, con kit diagnostici utilizzati su attezzature semiautomatizzate, è necessario prevedere in via dedicata alla qualificazione biologica del sangue:
ambienti, adeguatamente condizionati dal punto di vista microclimatico, e aree efficacemente separate nello stesso ambiente, destinate, in modo distinto, alla preparazione dei campioni (area di pre-amplificazione) e alla amplificazione e rilevazione (area di post-amplificazione);
strumentazioni specialistiche per la singola metodica, già validate nel controllo effettuato dall'I.S.S.finalizzato al rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio del kit; in caso di gestione manuale dei campioni per la fase di pooling e di estrazione è fortemente consigliato l'uso di una cappa a flusso laminare di tipo bio-hazard;
personale adeguatamente e debitamente formato da adibire all'attività routinaria della metodica NAT;
manuale delle procedure.
Definizione delle procedure operative e della manipolazione dei campioni.
Le procedure operative fanno parte integranti delle modalità di impiego dei singoli kit di reagenti per le quali gli stessi kit sono stati autorizzati, pertanto le specifiche e le istruzioni operative debbono essere seguite rigorosamente, l'eventuale apporto di variazioni invalida la procedura.
Si riassumono di seguito alcune raccomandazioni di carattere generale.
Il prelievo dei campioni deve essere eseguito in condizioni che garantiscono l'asepsi, in contenitori contenenti EDTAK3 con capienza di almeno 3 ml, possibilmente infrangibili, e in modo da assicurare la massima protezione per l'operatore e ridurre al minimo, nelle fasi successive, la contaminazione ambientale per aerosol e la contaminazione crociata dei campioni.
Nel caso di problematiche logistiche ed organizzative particolarmente complesse è auspicabile l'utilizzo di provette con separatore al fine di impedire il rimescolamento di plasma e cellule dopo centrifugazione.
Elevate temperature influenzano la stabilità dei campioni e pertanto il sangue intero può essere conservato a temperatura ambiente per non più di 8 ore, da 0° a 4° C per non più di 72 ore, e non deve essere congelato.
La separazione del plasma, dopo il prelievo di sangue, viene ottenuta mediante centrifugazione e successivo trasferimento in provette di conservazione, se si prevede che il test non venga eseguito entro le 72 ore dal prelievo.
Il plasma può essere conservato per un massimo di 7 giorni (dal prelievo) a temperatura di 2-8° C, diversamente dovrà essere congelato a -70° C; qualora congelato, il plasma non deve essere sottoposto a più di 3 cicli di congelamento/scongelamento.
Il trasporto dei campioni deve avvenire secondo quanto stabilito dalla normativa vigente e a temperatura comprese tra 2 e 10° C. Se il trasporto avviene a temperatura ambiente, il tempo trascorso dal momento del prelievo all'arrivo in laboratorio per l'esecuzione del test, non deve superare le 8 ore. All'arrivo il campione deve essere conservato a temperatura compresa tra 4-8° C.
Al fine di consentire il rilascio dei risultati in tempi adeguati alla utilizzazione di tutti gli emocomponenti, ivi comprese le piastrine la cui vita media non supera i 5 giorni, deve essere predisposto, in sede di progettazione regionale e dipartimentale, un piano coordinato per la raccolta, trasporto ed esecuzione del test. In particolare per quanto riguarda le piastrine da aferesi si dovrà tener conto della necessità del più rapido impiego terapeutico.
Dallo studio condotto dall'I.S.S. al riguardo, considerata la durata dell'esecuzione del test di circa 6 ore, è emerso che è opportuno predisporre turni lavorativi che garantiscono il rilascio dei risultati tra le 12 e le 24 ore dal prelievo, e le 48 ore per i prelievi effettuati in giorni prefestivi, nel caso di negatività al saggio di screening; il tempo massimo ammesso per la successiva valutazione («apertura del pool» o «verifica della reattività specifica nel multitest») in caso di positività con il kit con procedura in singolo o nel caso di campioni saggiati in pool e risultanti reattivi è tra le 36 e le 72 ore dal prelievo.
Definizione dei criteri di valutazione dei risultati e relativi algoritmi di interpretazione.
I kit di reagenti autorizzati come presidi medico-chirurgici ai sensi del decreto ministeriale 12 dicembre 1991, contengono nelle istruzioni d'uso, fornite dalle ditte produttrici, i criteri di valutazione dei risultati e i relativi algoritmi di interpretazione che vanno applicati in quanto validati dall'Istituto superiore di sanità preliminarmente alla fase di autorizzazione all'immissione in commercio.
Definizione dei pannelli di riferimento e dei controlli interni.
I kit autorizzati ai sensi del decreto ministeriale 12 dicembre 1991 e del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1998, n. 392, sono stati validati dall'I.S.S. relativamente alle caratteristiche di sensibilità, limite di rilevamento, specificità e robustezza della procedura analitica secondo le indicazioni tecniche elaborate dai gruppi di studio europei competenti.
I kit che includono nella loro formulazione, oltre ai campioni di controllo positivi e negativi, il controllo interno che garantisce la validità della singola determinazione per ogni unità di emocomponente o pool in tutte le fasi della procedura non comportano necessariamente l'utilizzo di standard o di pannelli di riferimento; invece l'impiego di kit sprovvisti di controllo interno rende necessaria l'applicazione di un run control per il quale possono essere utilizzate le preparazioni calibrate attualmente distribuite dagli Istituti europei per gli standard di riferimento o preparazioni allestite ad hoc dall'I.S.S.
Definizione dell'organizzazione del proficiency test interlaboratori.
Per garantire uniformità di sicurezza degli emocomponenti sul territorio nazionale è indispensabile prevedere lo sviluppo di un programma di valutazione esterna di qualità, che è già in fase di valutazione da parte dell'I.S.S. e la cui realizzazione è prevista attuabile nel 2002.
Roma, 19 dicembre 2001
Il Ministro: Sirchia