CPR-SRP 8.3.01 - Piano oncologico nazionale - Parte II - Gli obiettivi specifici intermedi: obiettivo specifico intermedio n° 3 - Prevenzione secondaria dei tumori del colon retto

Piano oncologico nazionale - Parte II - Gli obiettivi specifici intermedi: obiettivo specifico intermedio n° 3

(Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, provvedimento 8 marzo 2001)

C) PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DEI COLON RETTO

Premessa

Il carcinoma colon-rettale (CCR) è la seconda neoplasia per frequenza sia nei maschi sia nelle femmine. Nei Paesi della Comunità Europea si contano infatti circa 130.000 nuovi casi di CCR e 90.000 morti ogni anno sono attribuibili a tale patologia.

In Italia (1994), i nuovi casi diagnosticati ed i pazienti deceduti per anno per questa neoplasia erano rispettivamente circa 36.000 e 19.000. Le proiezioni per l'anno 2000 hanno ipotizzato un aumento sia dei casi incidenti, stimati intorno a 49.000 nuovi casi, sia della prevalenza, con un numero di pazienti con diagnosi di C.C.R. che salirebbe a 250.000.

Benché i risultati della terapia chirurgica siano buoni quando la lesione è ancora confinata nella parete intestinale (stadio A di Dukes), la maggioranza dei pazienti sintomatici (80-85% dei totale) presenta tumori in stadio più avanzato, con conseguente diminuzione della sopravvivenza. La sopravvivenza a 5 anni di pazienti con tumore del colon-retto, globalmente considerati, non supera il 40%. L'89% dei pazienti con malattia localizzata alla parete intestinale è vivo a 5 anni, ma la sopravvivenza scende al 58% in presenza di metastasi regionali e al 6% in caso di malattia disseminata. Si può stimare che un paziente con CCR perda in media da 6 a 7 anni di vita rispetto a quanto atteso. Inoltre, la terapia del CCR può determinare l'insorgenza di patologie invalidanti e una diminuzione della qualità di vita per ablazioni d'organo, colostomie, chemioterapia e radioterapia, cui possono associarsi sintomi marcati.

L'insieme di questi dati sottolinea la necessità di realizzare modelli di prevenzione primaria e secondaria e di diagnostica precoce, al fine di ridurre l'incidenza e la mortalità per questo tipo di neoplasia.

Per quanto riguarda le prospettive di interventi di prevenzione primaria, l'evidenza disponibile, supportata dall'analisi descrittiva dell'andamento dell'incidenza del CCR nel corso degli ultimi decenni nelle diverse regioni italiane, suggerisce un ruolo eziologico della dieta nell'insorgenza di questo tumore. La tendenza alla riduzione del rischio nelle coorti di età più giovani (<45 anni), evidenziata dall'analisi dei dati di incidenza italiani, è attribuita ai mutamenti delle abitudini alimentari verificatisi nel corso degli ultimi decenni.

La pianificazione di campagne miranti a modificare le abitudini alimentari della popolazione appare però complessa, per le insufficienti informazioni sul ruolo dei singoli fattori eziologici coinvolti. Risulta inoltre difficile trasferire nella pratica le informazioni già acquisite, per l'insufficiente evidenza relativa alle metodologie più efficaci e accettabili per la conduzione di questo tipo di interventi.

E' invece più concreta la possibilità di realizzare programmi di screening e diagnostica precoce capaci di incidere significativamente sulla sopravvivenza e sulla mortalità per CCR.

Caratterizzazione del rischio

  1. Soggetti a rischio generico. L'incidenza di CCR è molto bassa per soggetti di età inferiore ai 50 anni. Oltre questa età il rischio aumenta progressivamente in entrambi i sessi. I soggetti di età uguale o superiore a 50 anni, privi di sintomi o di specifici fattori di rischio, sono definiti soggetti a rischio generico per lo sviluppo di CCR. In tali soggetti, all'età di 50 anni, le probabilità di sviluppare un CCR sintomatico nei successivi 12 mesi è di 1 su 1800; all'età di 60 anni tale probabilità è di 1 su 550, per gli uomini, e di 1 su 800 per le donne. In generale, da 2 a 5 italiani su 100, a seconda del sesso e delle aree geografiche, si ammalano di CCR entro i 70 anni.
  2. Categorie a rischio elevato. Sono invece da considerare soggetti ad alto rischio per CCR coloro che presentano specifiche condizioni ereditarie: poliposi adenomatosa familiare (FAP), sindromi ereditarie non poliposiche (HNPCC) e la cancer family syndrome. Questo gruppo rappresenta una quota compresa tra il 5 e il 10% di tutti i casi di CCR
    Altri gruppi ad alto rischio sono costituiti da soggetti con un familiare di 1° grado con CCR o adenoma insorti in età inferiore a 45 anni, o con storia personale di polipi adenomatosi, di CCR, o di pancolite ulcerosa con durata di malattia superiore ai 10 anni.

La conoscenza e la diffusione dell'informazione su tali aspetti rappresenta un elemento di primaria importanza per definire la strategia di screening e diagnostica precoce nei soggetti a rischio generico e di sorveglianza nei soggetti a rischio elevato. .

Priorità operative

Alla luce delle sopracitate realtà epidemiologiche, in considerazione dei più recenti dati disponibili attraverso la letteratura scientifica e della realtà socioeconomica e sanitaria del nostro Paese, sono state identificate le seguenti priorità operative:

  1. delineare raccomandazioni per lo screening per il CCR in soggetti ad alto rischio;
  2. definire programmi di screening per il CCR nella popolazione generale, che dovranno essere redatti tenendo conto:
  3. della necessità di definire l'impatto derivante dall'introduzione di programmi di screening organizzati sulla popolazione italiana e sulle strutture sanitarie in termini di:
  4. della necessità di coinvolgere a pieno titolo i medici di medicina generale oltre alle strutture ospedaliere nella realizzazione dei programmi di cui ai punti A e B.

Screening nella popolazione generale

A) Test di screening

Metodi efficaci per lo screening del cancro colo-rettale includono la ricerca del sangue occulto nelle feci e la rettosigmoidoscopia. Non vi è un'evidenza sufficiente per determinare quale di questi due metodi sia più efficace, o se la combinazione della ricerca del sangue occulto con la sigmoidoscopia produca maggiori benefici, che l'uno dei due test da solo.

Vi è una buona evidenza scientifica per suggerire la ricerca del sangue occulto nelle feci con frequenza biennale. Studi controllati e randomizzati hanno evidenziato una riduzione significativa di mortalità per CCR nei soggetti sottoposti a screening biennale con test al guaiaco. Tale riduzione è più elevata (21%) utilizzando il test reidratato (che però induce un maggior numero di colonscopie), mentre si colloca intorno al 15-18% nei gruppi sottoposti a screening con test non reidratato.

Una riduzione del 33% della mortalità per CCR è stata osservata in uno di questi studi nel gruppo sottoposto a screening annuale con test al guaiaco reidratato.

L'evidenza, derivante da studi caso-controllo, condotti nell'ambito di programmi che utilizzano i più recenti test immunologici, e da studi che hanno confrontato direttamente la performance di questi test con quella del test al guaiaco, è suggestiva per una maggiore accuratezza dei test immunologici. Questi ultimi risulterebbero più sensibili e specifici rispetto al test al guaiaco e garantirebbero un effetto protettivo più prolungato. Questi test non richiedono inoltre alcuna restrizione dietetica.

L'evidenza disponibile derivata da studi osservazionali, è suggestiva per un'efficacia della sigmoidoscopia come metodica di screening. Non è al momento disponibile una stima precisa della riduzione di mortalità e d'incidenza ottenibile con un intervento di screening basato sulla sigmoidoscopia. Inoltre non esista una evidenza scientifica adeguata per suggerire con quale frequenza dovrebbe essere praticato lo screening sigmoidoscopico.

E' attualmente in corso il follow-up dei soggetti reclutati nel trial multicentrico controllato e randomizzato di valutazione di efficacia della sigmoidoscopia "una tantum" (studio italo-inglese SCORE). Sulla base dei risultati di questo studio sarà possibile derivare una stima quantitativa più precisa dell'efficacia dello screening sigmoidoscopico.

B) Programma di screening

Pur essendoci evidenza di efficacia dello screening nel ridurre la mortalità per carcinoma colorettale, allo stato attuale non esistono i presupposti per proporre un unico modello di intervento da estendere all'intero territorio nazionale.

Le conoscenze sul potenziale impatto derivante da diversi protocolli e test di screening adottabili, in termini di costi e benefici, sono, infatti, insufficienti.

Queste conoscenze sono indispensabili per definire con accuratezza un programma di screening del CCR per la popolazione italiana, stimarne le implicazioni organizzative e finanziarie e creare le premesse per la sua realizzazione. La valutazione di tali aspetti rappresenta quindi un obiettivo da perseguire in modo coordinato a livello nazionale.

C) Valutazione dell'impatto di diversi protocolli e test di screening

In base alle precedenti considerazioni e alle evidenze disponibili, si raccomanda di promuovere attività integrate di valutazione rispetto ai seguenti settori:

Sorveglianza nei soggetti a rischio elevato

  1. In questo contesto il problema essenziale è quello di identificare soggetti appartenenti a famiglie affette da FAP o da HNPCC, attraverso l'estensione e l'ottimizzazione di registri nazionali, poiché il rischio di CCR per i figli di soggetti affetti da tali patologie è molto elevato (50%). Accanto alla realizzazione dei test genetici, che al momento sono disponibili solo per la FAP e non in modo routinario, fondamentale appare la sorveglianza endoscopica. Nelle FAP si raccomanda una sigmoidoscopia flessibile ogni anno, dall'età di 10-15 anni sino a 30-35 anni, con successivo follow-up con colonscopia ogni 3 anni. Nell'HNPCC si raccomanda una colonscopia ogni 2 anni dall'età di 25 anni o iniziando 5 anni prima dell'età di insorgenza del cancro nel membro della famiglia colpito più precocemente dall'affezione.
  2. Per soggetti con un parente di 1° grado (padre, madre, sorella, fratello, figlia, figlio) affetto da CCR diagnosticato in età inferiore a 45 anni, o con due parenti di 1° grado con CCR ad ogni età (rischio aumentato di 6 volte) si raccomanda di valutare, anche sulla base delle recenti acquisizioni sperimentali di tipo genetico, l'opportunità di una sorveglianza mirata le cui caratterizzazioni saranno oggetto di definizione da parte del gruppo operativo.
  3. Nei soggetti con storia personale di CCR, di adenoma o di malattia infiammatoria del colon, si raccomanda un follow-up con colonscopia in accordo a protocolli di sorveglianza già codificati. Per soggetti con adenomi del colon, di particolare interesse appaiono i modelli di intervento mediante chemioprevenzione ancora in fase di valutazione in studi sperimentali.

In sede di Commissione oncologica nazionale, o in suo apposito Gruppo di lavoro, saranno valutate nuove metodiche di screening con riferimento sia ad altre patologie neoplastiche sia a quelle già oggetto di screening.

Tale valutazione sarà finalizzata a indicare la sperimentazione necessaria, anche sotto il profilo di una valutazione di costi-benefici, per l'eventuale diffusione di altri screening a livello di popolazione.

A questo proposito, si raccomanda che eventuali screening genetici per l'individuazione di soggetti ad aumentato rischio di sviluppare le neoplasie siano attentamente valutati ed applicati solo dopo che ne sarà stata dimostrata l'efficacia.


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